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Cura grafica di Michele Paoli.

Un ringraziamento a Luciano Luciani per la collaborazione. Un grazie a Foto Nadir di Eugenio Toschi di Porcari per la disponibilità.

 

Il ricordo per continuare a camminare insieme

 

Non si vive senza ricordi.

Essi sono quell’insieme di esperienze, di fatti e di emozioni che rimangono nel nostro animo e danno consistenza all’esistenza, la illuminano e le imprimono significato: sono parte essenziale della propria vita.

E’ significativo che nella lingua latina la radice delle parole “ricordo” e “cuore” sia la stessa cosa: nel ricordo viene coinvolta la parte più intima di noi stessi, il nostro cuore, e in qualche modo il ricordo ci forma e ci plasma.

Nel ricordare troviamo le nostre radici, l’essenza di quanto costituisce la nostra storia di persone e di popolo; nello stesso tempo veniamo proiettati in avanti per far maturare quanto di bello e di buono abbiamo ereditato o per correggere le eventuali deficienze.

Se allora, soltanto per un poco, cerchiamo di abbandonarci a questi pensieri, troviamo che è bello ricordare. Non per sfuggire il presente, ma per viverlo più intensamente.

Soprattutto è bello ricordare persone che hanno dato una impronta forte alla nostra comunità cristiana: per il fatto che esse hanno fatto emergere lati positivi e qualità preziose, la loro memoria è un bene da non disperdere.

Con piacere perciò presento il lavoro che Pierluigi Puccinelli ha realizzato con cura ed amore.

Egli ci presenta appunti su persone che molti porcaresi hanno conosciuto e che ancora portano nel cuore. Mons. Marraccini, don Nanni, don Picchi, per dirne alcuni, hanno

 

inciso profondamente nella vita di tanti.

Sarà piacevole trovarseli davanti e contemplarli come si ammira un medaglione o una foto ricordo; e, dietro ai fatti accennati, intravedere le cose di un tempo, le strade, le persone, gli avvenimenti che hanno formato in parte la loro esistenza.

Ma anche per i più giovani e per chi da non molto risiede tra noi, sarà utile leggere quanto è narrato in queste pagine. Da esse comprenderanno che tanti modi di essere, in particolare la tradizione cristiana radicata profondamente nella nostra parrocchia e riflessa in atteggiamenti, riti e tradizioni che pure oggi compiamo, sono il frutto di una seminagione abbondante, sono nate da persone che vivevano la fede come centro della loro vita e da essa traevano sostegno e luce.

Aiuterà a capire, per dirlo in breve, che altri è chi semina, altri chi raccoglie.

Noi beneficiamo dell’impegno e delle fatiche di coloro che ci hanno preceduto.

Sappiamo però che quanto è stato seminato in passato può ancora essere coltivato oggi; da quelle radici ancora possono maturare frutti, diversi certamente da quelli di ieri, ma non meno belli e rigogliosi.

Un ringraziamento dunque a Pierluigi che con la sua paziente ricerca, la sua scrittura semplice e arguta apre uno squarcio sul passato e ci fa incontrare persone la cui vita ha abbellito la nostra comunità.

La loro conoscenza e il loro ricordo sia uno stimolo per tutti perché, anche se in forme e modi diversi, continuiamo a camminare sulle loro orme.

sac. Agostino Banducci, Proposto

 

14 settembre 1999 - Esaltazione della Santa Croce

 

Al lettore

 

Caro amico,

 

questa pubblicazione non vuole essere uno studio approfondito sui personaggi della spiritualità porcarese. Ho soltanto inteso riproporli all’attenzione della loro Comunità, perché, col trascorrere del tempo, non si perda la memoria di esperienze, di testimonianze e di un apostolato sempre degni di rispetto, stima e simpatia piena d’amore.

Ho pensato dapprima di prendere in considerazione solo i Proposti che si sono avvicendati alla guida della parrocchia; poi, quasi automaticamente, l’orizzonte della pubblicazione si è allargato ad altre figure di sacerdoti e laici che sono stati testimoni di un vissuto di fede autentica.

Ad altri, eventualmente, il compito di realizzare gli opportuni approfondimenti. Per facilitare la loro opera, oltre a citare le fonti del mio lavoro, ho indicato anche alcuni testi e alcuni luoghi deputati alla trasformazione in un lavoro di maggiore spessore scientifico di questo mio atto d’amore nei confronti di Porcari e della sua gente.

Sta al lettore giudicare se le finalità che mi hanno ispirato sono state almeno parzialmente raggiunte.

Pierluigi Puccinelli

 

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SS. Missioni 1950. Il “pastore” porta la Croce e precede il popolo. Ai lati i missionari, in questo caso Padri Domenicani, che annunciavano la Parola di Dio.

Nella pagina precendente: fonte battesimale della Chiesa di S. Giusto a Porcari.

 

Due anime in un nocciolo

Don Marraccini e il Sig. Martino

 

Prima ancora di parlarne singolarmente, vogliamo presentarli insieme.

Lavorarono indefessamente nella vigna del Signore e furono sorprendentemente complementari l’uno all’altro: ebbero in comune l’umiltà, lo spirito di preghiera e la povertà.

Si adoperarono per la nostra parrocchia con unità d’intenti e si amarono fraternamente tanto che la gente usava dire: “Sono due anime in un nocciolo”.

Come del resto fecero le rispettive sorelle fra loro: Cesira e Pasquina.

La prima testimonianza che dettero in mezzo alla gente porcarese fu proprio questa e sarà uno dei motivi per cui il popolo li amava, quasi li venerava.

Vennero a Porcari sacerdoti novelli. Prima il Mattaccini che fu Cappellano dal 1888 al 1895 e poi successe al Rettore, assumendo dal 1914 il titolo di Proposto.

E’ da chiarire che in quel tempo ci si rivolgeva ai sacerdoti facendo precedere il nome di battesimo da “sig.” anziché da “don”, ad eccezione del parroco che veniva chiamato sig. Proposto.

Il sig. Martino fu dapprima secondo cappellano e rimase l’unico quando il sig. Giovanni, primo cappellano, se ne andò.

Il Mattaccini e don Martino, quindi, dovettero assistere tutta la comunità cristiana che si estendeva da Rughi alla Baracca, fino a che, ultimata la chiesa di Padule, vi fu assegnato un cappellano.

 

Qui è d’obbligo fare una riflessione sul carico di lavoro che toccava al prete. All’epoca, infatti, il sacerdote era molto presente al capezzale di coloro che erano in pericolo di vita. Vi si recava poi per amministragli “l’Estrema Unzione”, come si diceva fino a qualche anno fa; per portagli la Comunione come viatico; e quando si prevedeva che l’ammalato fosse vicino alla morte, si aspettava il decesso pregando, in special modo con la preghiera propria della “raccomandazione dell’anima”. A volte il sacerdote trascorreva intere giornate e nottate al capezzale dell’ammalato.

Quindi viaggi al capezzale dei moribondi, sia di giorno che di notte, con soste prolungate nella casa del malato, senza risparmiare energie.

Allora nessuno andava all’ospedale, né, tanto meno, vi moriva e il sacerdote doveva essere presente alla morte di ciascuno.

Non vi erano mezzi di trasporto, neppure la bicicletta.

E’ facile quindi immaginarsi le camminate e le difficoltà, soprattutto di notte, perché certe strade non erano praticabili e si preferiva camminare sul ciglio dei fossi.

E mentre un sacerdote assisteva il moribondo, l’altro, in chiesa, celebrava la funzione “dell’agonia”, come diceva il popolo.

Questo solo per fare un esempio. Ma vi erano decine di altre cose da fare. Bisognava portare avanti tutta la pastorale parrocchiale e contemporaneamente sistemare e ultimare molti altri lavori, come per esempio terminare la chiesa di Padule.

Il Marraccini, sia perché era Proposto, sia per le sue qualità, si assunse l’onere di impostare e seguire la pastorale parrocchiale e dirigere, anche se con discrezione e offrendo molto spazio ai collaboratori laici, i lavori da ultimare e da iniziare.

Don Martino si occupò particolarmente delle confessioni e dell’assistenza agli ammalati e ai moribondi.

Furono sicuramente uomini di alta sensibilità spirituale e

 

di preghiera che spesso facevano in comune.

Basti ricordare che durante i mesi estivi o comunque quando il clima lo permetteva, la sera dopo cena scendevano insieme alle sorelle a recitare il rosario sul piazzale. Dicevano: “Vogliamo recitarlo insieme ai nostri parrocchiani che in questo momento fanno altrettanto nelle loro corti o famiglie”.

Il Proposto, “dalla parola dolce e persuasiva” spiegava il Vangelo nel corso della messa parrocchiale che era sempre cantata e veniva celebrata al mattino alle ore 6,30. Alle altre messe non si faceva la predica.

Don Martino, sempre sorridente, non fu mai capace di rivolgersi dall’altare verso il popolo. Quando vi era costretto, per dare qualche avviso, lo faceva ridendo. Così la gente, bonariamente, lo chiamava “ghignella”, ma lo stimava per il suo equilibrio e la sua umanità. Il suo confessionale era sempre affollato.

A quei tempi i sacerdoti non godevano della cosiddetta “congrua” dallo stato - percepita, peraltro, dopo che fu concessa, solo dal titolare della parrocchia - né d’altra entrata statale; non era in uso l’offerta per il battesimo e per il matrimonio.

Il Parroco aveva qualche rendita; per i Cappellani si faceva la “Questua delle Quarre”, grano e uva.

Vivevano della carità dei parrocchiani.

Per la benedizione delle case ricevevano qualche uovo, fino a sei in casi eccezionali. Uguale offerta potevano ricevere dalle puerpere quando, come si diceva allora, andavano a “rientrare in santo”.

I parrocchiani stessi poi, in occasione dei raccolti della terra ne offrivano un po’ ai loro sacerdoti.

Nella loro povertà trovavano il modo di assistere i poveri, specialmente i seminaristi bisognosi. Curarono la vocazione al sacerdozio in maniera particolarissima con risultati sorprendenti.

 

Mons. Antonio Marraccini

Primo Proposto di Porcari

 

Fino al 1 aprile 1914, infatti, i sacerdoti di questa parrocchia avevano il titolo di Rettore.

Porcari nella giurisdizione ecclesiastica era però una specie di Curateria e il sacerdote veniva nominato su proposta del Patrono della chiesa, fino a quando, il 17 Ottobre del 1906 il Sig. Raffaello Del Carlo, che subentrò nella proprietà dei Di Poggio, rinunciò al giuspatronato, diritto che i Di Poggio avevano acquisito per aver donato gratuitamente il terreno per costruire la chiesa ed essersi impegnati in altri obblighi per il mantenimento del Rettore.

Nacque a Farneta da Giuseppe e Rosa Lombardi il 17 gennaio 1863. Sul registro dei battesimi risulta registrato come Giovanni Antonio Marco. Venne a Porcari, come Cappellano, il 23 luglio 1888 quando era

Rettore don Michele Nardini che morì il 9 dicembre 1894.

Il 17 dicembre 1894 è nominato Economo Spirituale, cioè reggente responsabile della parrocchia e il 28 gennaio 1907 parroco effettivo.

La Domenica delle Palme, 5 aprile 1914, don Mattaccini, lesse dall’altare il decreto dell’Arcivescovo Mons. Arturo Marchi - datato 2 aprile 1914 - che costituiva la Parrocchia di S. Giusto in Porcari, con un beneficio parrocchiale perpetuo da conferire al sacerdote che ne aveva la cura con il titolo di Proposto.

Rimase a Porcari, come Parroco, quarantuno anni, fino

 

al 25 agosto 1929, data in cui rinunzia al titolo di Proposto, probabilmente per motivi di salute.

Fu quindi nominato Canonico della Cattedrale di Lucca col titolo di Monsignore e lasciò Porcari, tra il rimpianto di tutti, per andare ad abitare a Lucca.

Si dice che a Lucca non stette mai volentieri. Quando dopo poco gli morì la sorella, già colpito da paralisi progressiva, il buon don Martino lo accolse in casa sua e quindi ritornò a Porcari.

Finché potè, celebrò la Messa in Chiesa; poi, il Sig. Martino gli fece un altare nel suo studio e la celebrava lì, stando seduto.

Visse umilmente, da povero. Fu costretto a vendere l’anello da Monsignore e l’abito che gli avevano regalato i parrocchiani quando era stato fatto Canonico.

Ma ebbe l’amore fraterno e l’assistenza di don Martino e della sorella di questi, Pasquina, e il calore di una comunità cristiana che non lo aveva mai dimenticato.

Il Marraccini fu certamente un sacerdote di alta spiritualità e di vivacissima intelligente con doti cristiane ed umane non comuni. La sua predicazione, semplice nella forma ma profonda nei contenuti, era suffragata da una intensa vita di preghiera e da un’esistenza trascorsa nella povertà.

Prediligeva i poveri, sull’esempio di Cristo, donando a loro tutto quello che possedeva; era umile e schivo d’onori.

Curò il catechismo ai ragazzi e intensificò la vita cristiana del suo popolo attraverso le Associazioni Cattoliche e le Confraternite Religiose.

Promosse e favorì la Società di Mutuo Soccorso, un’opera altamente sociale a beneficio degli operai e dei bisognosi.

Le cronache dei suoi quarantuno anni a Porcari sono ricche di iniziative spirituali di ogni genere: Esercizi Spirituali, Sante Missioni, pellegrinaggi, l’arrivo a Porcari delle reliquie di San Francesco Saverio, tanto per citarne alcune, nonché le Solennità del Rosario e le celebrazioni di Gesù

 

Morto e Risorto che richiamavano gente da tutta la piana lucchese e rendevano necessari addirittura dei treni speciali con destinazione Porcari.

Profondamente preoccupato della educazione cristiana della gioventù, vide e agevolò l'inserimento nella nostra Comunità delle Suore Dorotee, venute a Porcari nel 1887.

E’ del proposto Marraccini l’idea di avere a Porcari un Istituto Religioso che in modo particolare si occupasse dell’istruzione ed educazione della gioventù maschile, come le Suore Dorotee si occupavano di quella femminile.

Quando la signora Cherubina Toschi mise a disposizione per questo scopo il suo palazzo, Don Marraccini si rivolse ai Salesiani che vennero a visitarlo e si dissero disponibili ad una loro presenza, ma poi ci ripensarono e garbatamente rifiutarono.

Allora, su indicazione del Prof. Don Mario Del Carlo, nostro paesano, il Proposto si rivolse ai PP. Cavanis di Venezia, i quali presero in considerazione la sua proposta, e nel loro capitolo del 21 luglio 1919 decisero di aprire una casa a Porcari.

Nel 1920 iniziarono la loro presenza con una Scuola Serale per giovani ed adulti, che poi si sviluppò in una scuola di primo e secondo grado, apportando un prezioso servizio alla nostra Comunità di Porcari e al territorio circostante.

Tutte queste iniziative sono descritte nelle Memorie che Don Marraccini scrisse con un profondo senso pastorale e che denotano l’animo di un grande sacerdote.

Questo straordinario religioso non dimenticò di “rifinire” il Tempio e il Campanile con lavori ed opere che in alcuni casi hanno dell’eccezionale.

Nonostante le ingenti spese effettuate per l’ultimazione della chiesa parrocchiale e del campanile i nostri padri non disarmarono e con a capo l’infaticabile proposto eseguirono alcuni importanti lavori: la chiesa viene arricchita con nuovi marmi, la decorazione e gli affreschi del Marcucci; si realiz-

zano i nuovi altari e vengono aggiunti i quadri di S. Antonio e del Rosario; nel 1899 la facciata della chiesa è dotata delle tre porte monumentali con una spesa di 3.800; nel 1890 il campanile è arricchito dell’orologio e nel 1906 di quattro nuove campane; nel 1900 si rinnovano i quadri della via Crucis; nel 1907 si istallano le nuove finestre istoriate; nel 1913 la chiesa è dotata di impianto elettrico. Nello stesso anno si costruisce la nuova chiesa di Padule.

Non tutto però era così tranquillo. Vi fu, per esempio, chi cercò di ostacolare la costruzione della chiesa di Padule!

Nel periodo in cui Don Marraccini resse la parrocchia la Massoneria stava tentando di mettere radici nel territorio di Porcari ed era in atto un’azione dissacratoria nei confronti della religione che culminò nell’ “l’episodio del porco”.

Alcuni paesani, ben noti per la loro avversione alla religione, vanno nel lungo corridoio della canonica e mentre uno, camminando a quattro zampe e grugnendo fa il porco, gli altri schiamazzano intorno. Così entrano in Chiesa.

Il fatto destò grande clamore e sdegno.

Qualcuno racconta che in quell’occasione il Marraccini distribuisse qualche calcio.

Per tutta risposta, venne composta e stampata una poesia in rima, che io ho letto molti anni addietro, ma che non sono ancora riuscito a ritrovare nell’archivio parrocchiale.

Il succo era questo: sapevamo che eravate dei maiali ed è per questo che la vostra occupazione serale è quella di andare in giro a cercare scrofe. Vi siete comportati da quello che siete.

Mons. Marraccini morì nel 1932. Si legge nell’archivio parrocchiale:

“Morì, serenissimamente, la sera del 6 dicembre 1932, alle ore 19,00, in casa di don Martino, assistito dai sacerdoti Guglielmo Nanni, proposto, don Felice Marraccini, suo fratello e parroco di Lugliano e da don Martino Di Cesare...”

Le esequie furono celebrate il 9 dicembre e la salma, in vero trionfo, fu portata alla sepoltura nel cimitero paesano e tumulato in un loculo donato gratuitamente dal comune.

Non fu possibile calcolare il grandissimo numero di persone che presero parte al corteo funebre.

Riportiamo dal testamento spirituale: Nel Nome SS. di Dio.

Questa è l’ultima mia volontà.

Prego la bontà infinita di Dio a ricevere l’anima mia nel seno della sua Misericordia; perciò accetto dalle sue Mani la morte in espiazione dei peccati miei e di quelli di tutti i peccatori, miei fratelli in Cristo, che per noi è morto sulla Croce.

Confido in Te, Vergine Immacolata, mediatrice di grazia, spes et auxilium morientium, che in quell’ora mi assista e mi difenda, onde possa fare la morte del giusto.

Confido nella efficace protezione dei miei Santi Avvocati, S. Giuseppe, S. Antonio, S. Martino, S. Giusto, e nel patrocinio del mio Angelo Custode.

Sono nato nel grembo della Religione Cattolica, e per singolarissima grazia di Dio ne divenni sacerdote, quindi intendo morire in essa, affettuosamente devoto ai cenni del S. Padre e dei Superiori Ecclesiastici.

Chiedo perdono a quanti avessi potuto involontariamente recare dispiacere, e perdono a quanti avessero potuto offendere me anche involontariamente, conforme ai santi insegnamenti del Vangelo.

Voglio che i miei funerali siano semplici e senza fiori.

Chiunque volesse onorarmi con questi, sappia che io mi terrò più contento e aiutato ove invece si faccia qualche offerta in favore dei poveri, che prego di aiutare, specie quelli ammalati, nel giorno della mia morte.

Desidero di essere sepolto, possibilmente, nel Cimitero comunale di Porcari, per essere vicino al mio fratello Cesare,

 

dodicenne, alla mia mamma, e alla mia sorella Cesira; e perché, ivi riposano tutti quelli con cui ho vissuto lavorando nel Sacro Ministero tra la popolazione affidata un tempo alle mie cure parrocchiali.

Desidero riposare con quei cari defunti; e i Porcaresi sieno certi che come essi si ricorderanno facilmente di me nei loro suffragi, così io non potrò dimenticarli nel seno della infinita Misericordia.

Col dare mano alla Chiesa di Padule, e col fare uffiziare quotidianamente la Chiesa di Rughi, ebbi solo in mente la formazione religiosa del paese.

Ed ora un pensiero ai miei amatissimi Porcaresi, e l’estremo ricordo di chi fu già loro parroco. Per quel poco che ho lavorato in mezzo a voi, mi sento dinanzi a Dio un servo inutile; ma se il Signore permise che vi guidassi nelle vie del Cielo, vi prego nelle viscere della carità di Nostro Signor Gesù Cristo a non volervi scordare di quanto vi ho predicato. Tenete gli insegnamenti di S. Madre Chiesa come il più prezioso retaggio dei vostri maggiori. Voi siete un grande paese, aperto alle più nobili aspirazioni di civiltà e di progresso: siate sempre così, desiderando che fiorisca in mezzo a voi l’amore alla Religione. Sia saldo il vostro attaccamento alla vostra magnifica Chiesa, e ai suoi Sacerdoti; così sarete sempre un gran popolo. Nel Sacro Cuore di Gesù tutti vi benedico; dolcemente sperando e pregando vi aspetto in paradiso, ove pei meriti di Gesù e con le nostre opere buone un giorno ci riuniremo.

Infine invio un riverente e affettuoso saluto al mio amatissimo Arcivescovo, e un saluto ai miei rev.mi colleghi, i monsignori Canonici, alle cui preghiere mi raccomando. Porcari, 21 Decembre 1930

 

Can. Antonio Marraccini Ai suoi funerali prese parte tutta la popolazione in massa, con a

capo l’Autorità comunale; intervenne in rappre-

 

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Mons. Antonio Marraccini

 

sentanza anche il Capitolo Metropolitano, di cui lui faceva parte, con a capo mons. Vicario Generale arcidiacono Vincenzo Del Carlo, porcarese.

Parole dette sul feretro da Mons. Giovanni Barsotti, porcarese, il giorno dei funerali:

“ Non può, né deve mancare una parola da parte di coloro, che in questo diletto paese furono i più cari al cuore dell’estinto, e sentirono più largamente i benèfici influssi del suo pastoral ministero.

Permettano i venerabili colleghi che la dica io, che tra tutti fui forse il più beneficato, onde sento più stretto il dovere di lacrimare dinanzi alla benedetta salma.

Se il saluto della Parrocchia, così ben espresso dal suo degno successore don Guglielmo Nanni alla presenza delle autorità e di tutto il popolo in massa, è un fiore deposto su questa bara; il nostro saluto dev’esserne come la mistica fragranza che la imbalsami. Poiché, nella formazione del clero, d’un clero uscito dalle file dei suoi figlioli spirituali, egli ebbe sempre in mira due altissimi scopi.

Voglio, soleva ripeterci, che fate onore al vostro paese con la cultura e santità di vita, tenendo alte le sue tradizioni con lo specchiarvi in quei mirabili sacerdoti che vi hanno preceduto.

Ora noi possiamo testificare che da parte sua quel che diceva,fece.

Sebbene assorbito dalle innumerevoli cure del suo gravissimo ufficio, pure trovava il tempo per avviarci nella carriera degli studi, faticando anche in questo più di noi, allora ignari di ciò, cui egli con tanto dispendio di forze mirava.

Né, pago, ci seguiva poi negli anni della preparazione nel Seminario, come una madre amorosa segue i figli lungo i primi passi della loro vita. Noi cominciavamo ad accorgercene quando nelle inevitabili sconfitte lo vedevamo più afflitto di noi, ma più specialmente nei giovanili trionfi, allorché, mostrava una gioia che superava la nostra. Questo lato sim-

 

patico, che ci spingeva ad amarlo ognor più, era però secondario. Noi sapevamo inoltre com’egli tenesse dietro alla nostra formazione spirituale, che più gli premeva: indi le ansie, i timori, le gioie non potute contenere, insomma un tumulto incessante in quel cuore sacerdotale, veramente paterno, e sempre vigile e attento sulle nostre sorti, e che ultimo vedemmo esplodere in tripudio, il giorno della S. Ordinazione, col quale egli sentiva, oltre la propria, la felicità di tutti”.

Mons. Barsotti continua poi mettendo in evidenza quanto, il Marraccini, aveva fatto per conservare e aumentare nei porcaresi l’antica pietà: frequenti corsi di istruzione religiosa, Sante Missioni, Esercizi Spirituali e come, per controbattere il tentativo di portare la Massoneria a Porcari, si avvalse dell’Azione Cattolica e istituì la Società del Mutuo Soccorso, da cui sbocciò la Misericordia a sollievo di molte sofferenze. Accenna anche alle lacrime e ai sacrifici sopportati perché, si potesse avere una buona formazione cristiana della gioventù, “onde morto povero e quasi nudo”.

Quindi conclude così: “Sii dunque benedetto, o Padre, che chiudendo gli occhi alla terrena esistenza, avesti anche un’ultima benedizione, e ultima parola per noi; per il gregge che fu già tuo, per le tue sante istituzioni. Di te si può dire, come degli antichi Patriarchi, che la tua vita non ha conosciuto né, l’invidia, né, l’odio, perché, è stata tutta un intreccio d’amore. Si, amasti tutti, anche chi ti fece del male; e fosti lieto soltanto nel vedertelo rappacificato; riamasti con affetto smisurato ed elevato chi sempre ti volle bene. Dio, che è carità per essenza, ti fece sacerdote, perché, insegnassi a noi il suo nome.

Hai bene assolto il compito tuo: ognun di noi - e siamo tutto il paese

- lo giura sulla tua bara.

Vivi ora beato: lassù ti accompagnano le nostre preghiere, i nostri cuori. Di lassù pensa ancora al tuo diletto paese, pensa a noi, cui non resta che un conforto, quello di sapere

 

 

Dio".

che ci ami, e la speranza che un giorno ci riuniremo teco nel seno di

 

Un giovane di Azione Cattolica riassunse così, concludendo il suo

discorso, la figura del Marraccini:

“Riposate in pace, o Monsignore, o Padre buono, martire del sacrificio, vittima dell’amore”.

Negli anni novanta, l’Amministrazione Comunale di Porcari su richiesta del parroco don Agostino, firmata da tutti i sacerdoti porcaresi, gli ha intitolato una strada.

 

Fonti: Archivio Parrocchiale. Archivio Arcivescovile.

Testimonianze di confratelli e parrocchiani che lo avevano conosciuto (Per Due anime in un nocciolo, in particolare, si è attinto anche da un articolo su “Regnum Cristi” di G. Dell’Aringa). Elogio funebre: In memoria del Canonico Mons. Antonio Marraccini, Scuola Tipografica Artigianelli, 1933.

Per approfondire: Fonti di cui sopra.

 

Don Martino di Cesare

Cappellano di Porcari dal 22 marzo 1900 al 4 giugno 1948

 

Il Sig. Martino, come lo chiamavano i porcaresi, animato da zelo infaticabile, fu amato dai Proposti e dal popolo.

Non ebbe le qualità intellettuali del Marraccini, ma eccelse per la preghiera, l’umiltà, la carità e l’infaticabile cura con cui si occupò degli incarichi a lui affidati, in particolare delle confessioni e dell’assistenza agli ammalati e ai moribondi.

Percorse in lungo e in largo il territorio della parrocchia, non risparmiando alcun sacrificio, pur di essere presente al capezzale dei moribondi e assisterli nel momento del trapasso.

Era solito la sera coricarsi abbastanza presto. Diceva: “Così, se mi chiamano in nottata, ho già dormito qualche ora”.

Per capire cosa voleva dire spostarsi di notte a quel tempo, basta ricordare cosa disse il Sig. Martino una domenica mattina al parrocchiano Gino Dell’Aringa: “Per piacere, levatemi la legna di sul ciglio della Fossanuova - era tempo di potatura - che devo passarci anche di notte per andare dall’ammalata in corte “Gigli”; c’è la piena e ho paura di cascarci dentro”.

Lungo la Fossanuova correva la strada, ma era più praticabile il ciglio del fosso che la strada.

Lavorava per il Signore e per gli uomini con grande carità e con gioia non lesinando né tempo né sacrifici.

Una notte don Martino stava vegliando un ammalato e

 

scese in cucina per scaldarsi al focolare. Gli fu chiesto: “Come potete resistere a vegliare tante notti in case spesso scomode e talvolta saltando i pasti e soffrendo anche la fame ?”.

Lui sorridendo rispose: “Quando possiamo ascoltare una confessione come l’ho ascoltata io questa sera, noi riviviamo la Pasqua del Signore”.

Durante la Quaresima, al termine di una giornata in cui era stato a benedire le case - e all’epoca si benedivano tutte le stanze - la sua cena fu questa: un piatto di “zuppa matta” e un bicchier di vino.

A un seminarista che gli faceva osservare che era un cibo inadeguato per chi, la mattina dopo, doveva tornare alla fatica di benedire le case, rispondeva: “Ma siamo in quaresima, è digiuno!”.

Da notare che la zuppa matta consisteva in: acqua, cavolo nero, patate, odori e pane con sopra un filo d’olio.

Dal marzo al novembre del 1929 - e cioè dalla morte del Marraccini all’ingresso in parrocchia del Guidi che, pur essendo nominato in settembre fece il suo ingresso solo in novembre - don Martino resse da solo la parrocchia come Economo Spirituale. Fu probabilmente in questo periodo, che per continuare a svolgere bene il ministero, lo si vide in giro con una specie di motocicletta.

Quando Mons. Marraccini, affetto da paralisi progressiva, rimase solo per la morte della sorella Cesira, il nostro buon Cappellano lo prese in casa. Era il luglio 1930.

Vissero così in “fraterna povertà” e don Martino ebbe per il suo ex Proposto “premure fraterne” come attestò anche il fratello di Mons. Marraccini, don Felice, nel discorso che tenne nel cimitero, prima della sepoltura.

Questo gesto di grande carità cristiana destò ancor più l’ammirazione dei porcaresi nei confronti di questo sacerdote che non finiva di stupirli per la concretezza con cui viveva il Vangelo.

Quando morì la sorella Pasquina, rimase solo e allora una

 

donna andava tutti i giorni a fargli le faccende di casa.

Negli ultimi anni, ormai anziano, quasi completamente sordo e malandato di salute, non potè più svolgere appieno il suo ministero.

Si legge nell’archivio parrocchiale: "... La parrocchia fu lieta di sostenere il mantenimento di un secondo Cappellano, perché, il benemerito don Martino, nei suoi ultimi anni, avesse il meritato riposo”.

Don Martino Di Cesare era nato ad Aquilea da Francesco e Zelmira Giusti il giorno 11 novembre 1873. Fu alunno della Pia Casa dei dei SS. Cuori per i chierici poveri. Fu ordinato sacerdote il 12 giugno 1897 e assegnato alla parrocchia di Porcari, dove morì alle 13,10 del 4 maggio 1948.

Quando morì la gente diceva, riferendosi anche a Mons. Marraccini: “Se il Signore non mette in Paradiso quei due preti lì, può mettere i chiavacci alle porte perché non ci andiamo nessuno”.

“... La sua salma fu esposta, in Chiesa, alla venerazione dei parrocchiani, tutto il giorno dell’Ascensione. In luogo del Vespro si recitò, per l’anima sua, l’ufficiatura dei morti.

Dopo 1 ‘ esequie, il proposto elogiò la vita sempre esemplare dell’estinto mettendone in rilievo il lungo apostolato svolto dallo scomparso, specialmente nel confessionale e al capezzale dei moribondi”. L’intero paese l’accompagnò al cimitero, dove la Giunta Comunale,

in riconoscenza dei tanti meriti, gli donò una tomba privilegiata”.

 

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Don Martino Di Cesare.

 

Aneddoti

 

Il rapporto che vi fu tra i porcaresi e don Martino fu amichevole e fraterno per cui, vicendevolmente, potevano permettersi delle confidenze e delle espressioni che a cose normali sarebbero state evitate.

D’altra parte, la lunga permanenza del sacerdote in Porcari faceva sì che la stragrande maggioranza dei porcaresi fosse nata o cresciuta con lui. Aggiungiamoci, inoltre, il carattere semplice e la comunicativa familiare che gli erano proprie e allora apprezzeremo ancora di più questo santo sacerdote nel ricordare alcuni anèddoti della sua vita.

All’epoca, quando si doveva portare la Comunione come Viatico a un ammalato, si andava alla casa sua processional- mente. Si suonavano le campane ad “agonia” e dalla chiesa partiva il sacerdote, con l’accompagnamento di quattro lampio- cini con le candele accese e i chierichetti. Se poi l’ammalato era iscritto nella Compagnia degli Agonizzanti erano presenti almeno sei uomini e tutti coloro che volevano partecipare.

Durante il percorso si recitavano appropriate preghiere e in particolare si ripeteva spesso: “Vi adoro ogni momento, o Vivo Pan del Cielo Gran Sacramento ". La preghiera cioè del “Vi adoro”

Un giorno, un ammalato si aggrava in fondo al Padule e don Martino si reca al Tabernacolo, prende la Teca, con l’Eucarestia e si avvia processionalmente verso la casa del moribondo. Il tragitto è lungo e le preghiere si susseguono ininterrottamente, intervallate da quella più comune e amata di allora: “Vi adoro ogni momento, o Vivo Pan del Cielo Gran Sacramento”.

Era d’inverno e si camminava anche sui cigli dei fossi per evitare certe strade piene d’acqua, di mota e di buche a causa della pioggia e del passaggio dei barrocci.

Finalmente si arriva, stanchi, bagnati e “motosi” alla casa dell’ammalato.

 

Don Martino predispone tutto per iniziare la liturgia ma quando arriva ad aprire la Teca per prendere la particola la trova vuota. Guarda un po’ sgomento ed esclama: “Bemmi’ Vi adoro!”

Pensate: bisognava ritornare alla chiesa, prendere la Comunione e ritornare dall’ammalato, in Padule, a piedi!

Abbiamo detto che la sordità del buon cappellano andava via, via accentuandosi. Sentite cosa gli successe una mattina.

Stava confessando al confessionale di fianco alla sacrestia. Un gruppo di seminaristi, sulla panca al lato sinistro del confessionale, stava pregando.

Ad un certo punto sentono Don Martino che dice al penitente: “Di’ più forte”.

Breve silenzio e poi: “Di’ più forte”.

Altro attimo di silenzio e quindi: “Di’ più forte, sono sordo”.

Ancora qualche secondo di silenzio e poi si sente aprire il confessionale, si vede Martino che esce esclamando : “Testa di rapa, se ’un dici più forte vado via! ”. E nel dir ciò esce dal confessionale e guarda chi ci fosse inginocchiato.

Rimane un attimo con gli occhi fissi dalla parte del penitente e quindi: “Bah! ’Un c’era nessuno!”.

Alcune sue frasi ricorrenti e caratteristiche.

Ti gira l’anima! - Per dire che la cosa era di poco conto. Come sta Sig. Martino? Benonissimo.

 

Fonti e approfondimento:

Come Mons. Marraccini ad eccezione dell’El. Fun.

 

Don Emilio Guidi

Nominato Proposto di Porcari il 22 settembre 1929

 

Conquistò subito la simpatia dei porcaresi anche perché aveva ottime qualità umane e buona preparazione teologica.

Sacerdote schietto e di grande comunicativa, era un ottimo “predicatore”, instaurò un buon rapporto con la popolazione che qualcuno giudicò troppo familiare.

Al suo ingresso in parrocchia il pavimento della chiesa era ancora in mattoni ed è nel suo breve periodo che fu sostituito con l’attuale. Alla sua iniziativa si deve anche il pregiato tappeto con cui solitamente nel periodo natalizio o pasquale si addobba il pavimento dell’Altar Maggiore. Si legge nell’archivio parrocchiale: “Il ricco tappeto per tutto l’altar maggiore è stato lavorato gratis dalle donne della parrocchia. E’ tutto a maglia a mano e si calcola d’un valore di lire 4.000. La lana è stata comprata da più benefattori”.

Sempre con Emilio Guidi proposto, la chiesa parrocchiale fu solennemente consacrata dall’Arcivescovo Mons. Antonio Torrini il giorno 9 agosto 1930, con una cerimonia che iniziò alle sette del mattino e terminò alle undici. Successivamente Mons. Vincenzo Del Carlo, Vicario Generale, porcarese, cantò la Messa pontificale “De Dedicatione Ecclesiae” con la presenza dell’Arcivescovo.

Serve ricordare che in questa occasione l’Arcivescovo impartì la Benedizione, concedendo a tutti quelli che visiteranno la chiesa l’indulgenza di un anno per il giorno della consacrazione e di cento giorni negli anniversari.

 

Don Emilio Guidi di Bartolomeo e Pia Rocchi, nacque a Segromigno in Monte il 20 marzo 1901.

Fu ordinato sacerdote il 13 marzo 1927.

Il 30 settembre 1932 don Guidi rinuncia all’incarico pastorale e va in America Centrale come segretario particolare di Mons. Carlo Chiarlo, Nunzio Apostolico e futuro Cardinale.

Fu nominato Cameriere Segreto di Sua Santità, col titolo di Monsignore.

Fu insegnante di francese nel seminario diocesano.

Il 1 giugno 1937 fu nominato Parroco di Mutigliano e vi rimase fino al 1971. Si ritirò quindi alla Chiesa di S. Andrea, che si trova dentro Lucca nella omonima via, dove abitava nell’attigua canonica.

Morì il 24 giugno 1973 e il suo corpo venne tumulato nel cimitero di Segromigno in Monte nella medesima tomba dove già riposava la madre

Al Guidi succederà don Guglielmo Nanni.

 

Fonti: Archivio Parrocchiale. Archivio Arcivescovile.

Testimonianze di confratelli e parrocchiani. Per approfondire: Fonti di cui sopra.

Archivio Parrocchia di Mutigliano-Lucca.

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Mons. Emilio Guidi

 

Don Guglielmo Nanni

Nominato Proposto di Porcari il 20 agosto 1932, prese possesso della Propositura il 4 settembre 1932 e la resse fino al 13 maggio 1961

 

Aveva l’abitudine di scendere in paese prima dell’imbrunire e fare una passeggiata per i suoi vicoli e per le sue strade. Così incontrava la gente e scambiava un saluto o quattro chiacchiere.

Era il suo modo per mantenersi in contatto con i suoi parrocchiani, sentirseli vicini e farsi sentire vicino. Un modo semplice e discreto che però si doveva rivelare col tempo molto efficace.

D’altra parte don Nanni era così: semplice e discreto. O forse lo era diventato col tempo che impiegava soprattutto pregando. Era infatti prima di tutto un uomo di preghiera. Passava lungo tempo in chiesa.

Ricordo ancora che spesso si metteva a recitare il Breviario, la liturgia delle ore nel “suo” confessionale e nei mesi più caldi lo si vedeva, la sera, passeggiare su e giù per il sagrato della chiesa con il rosario in mano.

Certe feste, certe ricorrenze, le preparava con particolare cura e meticolosità e quando le celebrava si vedeva che erano state lungamente attese e desiderate. Così il Corpus Domini, la Pasqua, il Venerdi Santo, “il Maggetto”, il Rosario, il Natale ed altre.

Aveva molto a cuore la catechesi.

Almeno fino allo scoppio della seconda grande guerra, ogni domenica, durante il vespro, faceva il catechismo. E per essere più a contatto con la gente, lo spiegava da sopra una pedana che era sistemata sotto il pulpito.

 

Nelle ultime settimane curava personalmente la catechesi dei ragazzi che dovevano ricevere i sacramenti.

Era un buon predicatore e si preparava con diligenza le “prediche”. Aveva però un neo; terminava sempre alla stessa maniera: "... per entrare (o essere condotti o meritarsi) al porto dell’eterna salvezza, il Santo Paradiso”.

Per questo motivo, almeno i più disattenti avevano l’impressione che dicesse sempre le stesse cose.

Curava particolarmente i seminaristi con i quali, nei periodi di vacanza, passava intere giornate. Ed essi lo sentivano Padre, amico e maestro.

Ben dodici sacerdoti salirono l’altare nei trenta anni del suo ministero nella nostra parrocchia.

Chi gli stette vicino intuì pian piano in questa figura di sacerdote una forte spiritualità.

Il suo modo di fare riusciva a nascondere anche la sua notevole intelligenza. Fu infatti, in seminario, uno dei più brillanti studenti del suo tempo

Era nato a Veneri il 1 aprile 1896. Ritornò alla Casa del Padre in una bella sera di maggio del 1961 alla stessa ora - le 19,30 - in cui negli altri giorni normalmente era intento alla recita del Rosario e dopo aver ricevuto, ancora molto lucido, l’Unzione degli infermi, amministratagli dall’allora cappellano don Egidio Picchi

La salma rimase esposta per due giorni nella chiesa parrocchiale dove agli altari si alternavano nella celebrazione della S. Messa i sacerdoti paesani e dei paesi vicini

Il lunedì 15 maggio alle ore 18,00 dopo la solenne Messa esequiale celebrata dal Vicario Generale della Diocesi Mons. Vincenzo Del Carlo, porcarese, iniziava un corteo funebre, imponente. Si calcola che fossero presenti circa quattromila persone che in quadruplice fila si diressero verso il cimitero paesano dove venne tumulata la salma.

Lettera inviata dal Proposto Nanni ai parrocchiani, nella

 

solennità della rasqua, in nconoscenza delle visite e dei doni ricevuti durante la sua permanenza all’ospedale.

La lettera fu letta dal Cappellano durante la celebrazione delle Messe poiché il Proposto non era in grado di alzarsi dal letto a causa della leucemia che lo porterà alla morte:

“Cari Parrocchiani, sento il bisogno di ringraziarvi dei riguardi che mi avete usato in questa malattia che ora per grazia di Dio sta per giungere alla fine.

Vi dichiaro che ho gradito le vostre visite e i vostri doni. Non sapendo come ricompensarvi delle vostre affettuose premure, in questa ricorrenza prego vivamente il buon Dio a ricompensarvi Lui concedendovi una Pasqua con tutto il bene che desidera il vostro cuore ed a concedere a voi e a me di risorgere gloriosi nel giorno della resurrezione della carne per unirsi al Redentore Divino che per averci tutti nell’eterna felicità è venuto ad immolare sul Golgota la sua vita benedetta”.

 

Il vostro parroco

 

Aneddoti

I sacerdoti e il popolo si recarono in fondo all’erta della Chiesa e non appena la macchina dell’Arcivescovo apparve, il Proposto, don Nanni, fece le ultime raccomandazioni: “Egidio (il Cappellano di allora), eccolo; state pronti... applaudite. .. applaudite... ”. Poi andò ad aprire la portiera della macchina e baciò l’anello del Vescovo.

Il popolo ricevette la benedizione e quindi si formò il corteo per l’ingresso solenne in chiesa.

Iniziava così la visita pastorale, alla quale ebbi la fortuna di assistere dal principio alla fine.

Momento culminante della visita era la grande celebrazione Eucaristica con l’omelia dell’Arcivescovo. Assistevano diversi sacerdoti; i chierichetti erano presenti al completo

 

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Don Guglielmo Nanni con i chierichetti durante la “benedizione delle case”, fine anni ’40.

 

dopo aver fatto molte prove; il coro aveva preparato con cura i canti e la chiesa traboccava di gente.

Fin qui tutto bene.

Il Vescovo veniva però anche - o soprattutto? - per verificare se i registri dell’archivio parrocchiale erano in ordine, se i paramenti sacri erano tenuti bene e in luoghi decorosi, se c’era pulizia, ecc., ecc. E qui veniva il bello perché, iniziava una specie di “ispezione”

vera e propria.

Non per nulla, la settimana prima della visita, ragazzi e giovani furono “messi sotto” quasi a tempo pieno per la pulizia della chiesa e dei locali attigui.

Sciacquarono e risciacquarono ogni angolo, ogni mattonella; le statue dei santi furono tirate a lucido e le porte della chiesa brillavano.

Ma pur con tutta la buona volontà, con tutto “l’olio di gomito”, mi dovetti rendere conto che passarla liscia ad una “ispezione” era quasi impossibile.

Allora la visita pastorale durava un giorno. La mattinata era dedicata alla solenne accoglienza del Vescovo e alla celebrazione della Liturgia Eucaristica, “l’ispezione” veniva fatta nel pomeriggio. Quest’ultima parte della visita pastorale riguardava direttamente il responsabile della parrocchia, il Proposto, quindi i presenti erano pochissimi. Oltre all’Arcivescovo e al Proposto, c’era il Cappellano, Don Pierluigi D’Antraccoli, allora seminarista, ed io.

Ricordo ancora, con grande simpatia, la figura di don Nanni che si dava da fare, con la bella ingenuità di chi non sa dire neanche una bugia, per accelerare al massimo la visita.

Ma il primo “inghippo” arrivò quando, sistemate tutte le pianete, i camici e i piviali sul tavolo della sacrestia, il Vescovo ne cominciò il controllo.

Il Proposto, con la complicità del seminarista, metteva e toglieva i paramenti sacri davanti a Mons. Torrini con una tale rapidità che più volte l’Arcivescovo li dovette far rallentare.

 

“Ma tanto vede, Eccellenza, sono tutte in ottimo stato!” disse don Nanni.

Purtroppo in quel momento il Vescovo mise una mano sulla pianeta che stava “passando”, posandola proprio su un piccolo strappo.

Il Proposto guardò imbarazzato il Vescovo che sorrideva, compiaciuto d’averlo colto palesemente in fallo.

Quando don Nanni ricordava l’episodio esclamava “E pensare che era l’unico buchetto !”.

Venne il momento della visita ai confessionali.

Io potevo osservare e sentire tutto perché, avevo il compito di stare accanto al Vescovo per aiutarlo in ogni necessità come per esempio alzargli le vesti quando montava gli scalini od altro. Mons. Torrini non era più tanto giovane!

Subito al primo confessionale ci accorgemmo, dall’espressione del vescovo e dall’accuratezza con cui stava procedendo, che qualcosa non andava.

Don Nanni tirava la veste al Cappellano per farlo voltare e quindi facendogli dei gesti con le mani come per dire:

“Che ci sarà ?”

Don Picchi allungava le labbra come a dire “Chi lo sa ?”.

Giunto all’ultimo confessionale, in un silenzio di tomba, Mons. Torrini esclamò: “Ma, Proposto, i buchi delle grate di questi confessionali sono troppo grossi! ”.

Don Nanni rimase di sasso.

Due osservazioni “sul campo” erano un colpo troppo grosso. Intanto il Vescovo ripetè: “Proposto, i buchi sono troppo grossi

! ”

Don Nanni, prendendo tempo, mise la testa nel confessionale,

guardò con disperazione i buchi incriminati, ma intanto il Vescovo incalzava.

E a questo punto venne fuori tutta la simpatica personalità del Nanni.

Guardò il Cappellano in un modo come per dire “la ten-

 

to”; poi si rivolse al Vescovo e disse: “Eccellenza, sennò i peccati dei porcaresi non ci passano”.

E’ molto importante il tipo di rapporto che si crea fra il sacerdote e i suoi parrocchiani. Quando ci si conosce bene e i rapporti sono familiari si possono dire cose che altrimenti farebbero discutere e irritare.

Sentite questi episodi.

Don Nanni nelle sue prediche domenicali aveva alcuni temi che gli stavano a cuore e sui quali si accalorava a mano a mano che ne parlava. Uno degli argomenti su cui tornava ogni anno - di solito verso maggio / giugno - verteva sui bagni di sole e di mare delle porcaresi. Un anno, la questione fu trattata pressappoco così: “Ora arriva l’estate e si comincia ad andare al mare. Queste ragazze vanno sulla spiaggia a prendere il sole con costumi sempre più succinti. Bisognerebbe che le mamme fossero più attente e invece probabilmente anche loro si mettono al sole mezze nude, le pariane. Ma se fossi io al Padreterno, manderei sette legioni di calabroni dal cui giallo e vedreste che si rivestirebbero, sì!”.

 

Come abbiamo detto, Don Nanni era solito, nel pomeriggio avanzato, fare una passeggiata per le vie del paese e, alternativamente, in ogni zona del paese.

Un giorno, passando per le vie del centro, arriva davanti al bar di Dino di Tacco.

due si salutano e si fermano a parlare del più e del meno. discorso cade sulla pratica religiosa, un punto debole di Dino Di Tacco, al quale, però, non mancava né la parlantina, né una certa punta di ironia nel conversare.

A un certo punto della conversazione, Dino uscì con questa battuta: “Vede, sor proposto, io sono una pecorella smarrita, e starebbe a lei, che è il pastore, venirmi a cercare e ricondurmi all’ovile”. E don Nanni: “Ma che pecorella smarrita, tu sei un capron”.

 

Fonti: Archivio Arcivescovile. Archivio Parrocchiale. Conoscenza diretta.

Testimonianze di confratelli e parrocchiani.

 

Don Egidio Picchi

Cappellano dal 1950 al 1964

 

Mi basta dar lascio ai ricordi e parlare di Don Egidio diventa naturale.

Lo ricordo passeggiare sul sagrato della chiesa col “breviario” in mano assorto in preghiera; mi torna alla memoria seduto con noi sugli scalini del piazzale, nelle sere d’estate, a parlare del più e del meno; lo rammento quando per insegnarci i canti sedeva all’armonium, che suonava in un modo tutto personale con arrangiamenti che improvvisava.

Quando dovevamo andare a comprare i premi per la “Festa dei ragazzi ogni anno immancabilmente diceva: “O Pie, più di otto o novemila lire non si possono spendere”: eravamo alla fine degli anni Cinquanta e bisogna notare che pagava con i suoi soldi e che per molti anni, per vari motivi, non ebbe mai per intero la esigua somma che spettava al cappellano per il quale non era prevista la congrua.

S’andava in un negozio di Via Fillungo, fornitissimo. Esaurita ben presto la cifra fissata, si continuava a girare per il negozio finché alla fine diceva: “Giù, vedo che ti garba anche quello lì, pigliamolo!”. E poi: “Chissà come piacerebbe ai ragazzi quel gioco laggiù, pigliamolo”.

Ricordo la “sera della mezzanotte”, cioè la notte di Natale!

A quel tempo la funzione cominciava anche oltre la mezzanotte per poter confessare il più possibile.

Il gruppetto di chierichetti più fedeli, alcuni piccolissimi, alle 20 era già lassù.

 

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Gruppi parrocchiali con don Egidio Picchi.

 

Uscito di confessionale e vedendoci disse: “Siete già qui? E poi vi addormentate all’altare! Andate a dormire in camera mia”.

E noi via: chi nel letto, chi sulla sdraio...

Ricordo anche lo schiaffo che mi dette perché avevo preso l’abitudine insieme ad altri di scherzare troppo sul fatto che pronunciava a volte la t al posto della c: tiesa invece che chiesa.

Io presi una sonora “ciaffata”, ma poi lui corresse la sua dizione.

 

Concretezze

 

Un cristianesimo immediato e concreto: amicizia con Gesù, amicizia fra di noi per darla agli altri che conoscano Lui.

Si potrebbe riassumere così l’insegnamento di don Egidio Picchi, per molti porcaresi maestro nella fede e testimone visibile di una generosità evangelica, per la quale molti di noi hanno capito che per essere cristiani credibili occorrono poche parole e molti fatti.

Per questo, accanto alla Messa frequente, alla meditazione quotidiana, alla visita a Gesù Eucarestia, al Rosario recitato spesso la sera nel suo studio e d’estate sul piazzale o sulla strada che porta alla torretta, sollecitava l’assunzione di responsabilità concrete a seconda delle capacità e delle qualità di ognuno. Ci stimolava a portarle avanti, lasciando libero ciascuno di scegliere: lui - lo sapevamo per sicuro - per ogni eventualità era lì, disponibilissimo.

Anche per questo alcuni di noi avevano le chiavi del suo appartamento dove potevamo entrare per lavorare o semplicemente attenderlo quando non c’era.

Rapporto di fiducia, quindi, e d’amicizia. E ce la dimostrava con la schiettezza e la lealtà di chi sa che queste cose

 

sono alla base di un rapporto serio, duraturo e proficuo.

Del resto, il suo Testamento Spirituale è la prova di quanto fu schietto e genuino fino all’ultimo.

Lavorando con lui era normale che eventuali malintesi venissero risolti presto e bene.

Era un piacere lavorarci assieme!

Tutto ciò non gli impediva di essere, al momento opportuno, quel padre spirituale che amando i propri figli li rimprovera anche e li castiga.

Riteneva fosse molto importante fare esperienza concreta di vita cristiana e per questo erano moltissimi i momenti che “inventava” per stare insieme.

Oltre agli incontri formativi e di preghiera vi erano gite a piedi, in bicicletta, giochi sul piazzale, merende che spesso offriva lui.

E poi il teatro, il primo campeggio con le tende al lago Santo, il cinema “ambulante” in varie parrocchie.

Quando doveva allontanarsi per qualche motivo, sia quando aveva la vespa, sia più tardi l’automobile, diceva immancabilmente: “Chi viene con me?”.

Quando qualcuno si ammalava, diventava un momento importante per essergli vicino e aumentare quindi l’amicizia.

Era riuscito a creare un clima, un ambiente, che facevano sperimentare con concretezza cos’è la vita cristiana vissuta.

D’altra parte non si potrebbe spiegare diversamente il fatto che, anche dopo quasi trent’anni di assenza, i rapporti erano rimasti vivi e continuavamo ad incontrarci: anzi, ogni incontro era una festa.

Ora è lassù ma... l’amicizia continua.

Don Egidio Picchi era nato a Porcari il 12 giugno 1921.

Aveva celebrato la prima Messa a Porcari il 9 aprile 1950 e vi rimase come Cappellano fino al 1964, quando fu nominato Pievano di Valdottavo e poi contemporaneamente anche parroco di Domazzano. Successivamente ebbe la nomi-

 

nato a Parroco di S. Quirico e Pievano di S. Michele di Moriano.

Rimase sempre molto legato alla parrocchia di Porcari e alle persone con le quali aveva collaborato più attivamente, che lo considerarono sempre loro Maestro e Padre Spirituale: ne è prova il fatto che nello stendere il Testamento Spirituale, il 27 Marzo 1993, la prima parte è tutta dedicata all’esperienza porcarese.

Erano passati una trentina d’anni!

Tornò alla casa del Padre, dopo lunga malattia, il 24 gennaio 1994.

Alcuni mesi prima, quando già si sapeva della malattia, mi affidò le centinaia di fotografie scattate quando era Cappellano a Porcari. Sapevamo quanto ci tenesse, ma anche lui sapeva quanto gli amici di Porcari ed io ci tenessimo. Il commento dell’amico Ivano, quando gli dissi delle foto fu lapidario: “Allora è veramente finita, è in fondo”.

Mi piace ricordare l’ultimo incontro che ebbi con lui. Seppi che le sue condizioni di salute erano peggiorate e mi affrettai ad andarlo a trovare.

Quanto entrai in camera, alzò la testa dal guanciale e: “Sono arrivato al traguardo”, mi disse. La malattia stava vincendo il corpo, ma lo spirito era ancora “da leone”.

Parlammo delle sue condizioni di salute, della preghiera, della sofferenza e del Purgatorio. Mi accorsi poi che si stava affaticando troppo, che parlava con difficoltà e allora mi apprestai a salutarlo.

Stavo già aprendo la porta della camera, quando esclamò: “Come, vai via senza darmi la benedizione?”. Imbarazzato tornai indietro. Dare la benedizione a lui! Ma ero Diacono. “Certo che te la dò”, dissi, accorgendomi che per la prima volta gli avevo dato del “tu”.

Mentre lo benedicevo, i nostri sguardi si incontrarono; tutti e due eravamo commossi. Ci stringemmo poi la mano, forte, mormorandoci qualcosa.

 

Mi telefonarono qualche giorno dopo; non arrivai in tempo, ma c’eravamo già detti tutto.

Mi era stato Maestro in vita, lo fu anche in quei momenti.

 

27 Settembre 1993

Testamento Spirituale del sacerdote Don Egidio Picchi, Parroco di S. Quirico e Pievano di S. Michele di Moriano.

Fin da quando ho sentito il desiderio di farmi sacerdote, potei realizzare la mia vocazione, grazie ad un umile e pio sacerdote, Don Nanni Guglielmo che mi aiutò con amore paterno a riprendere in mano i libri, ricominciare a studiare e quindi entrare in seminario.

Quanta gioia ebbe don Nanni nell’assistere alla mia ordinazione e alla prima messa solenne che celebrai nella mia parrocchia nativa.

Mi sembrava un sogno rimanere a Porcari come Cappellano accanto a don Nanni che mi dimostrava stima e spesso si consigliava con me per le decisioni più importanti della parrocchia ed in particolare ciò che riguardava i ragazzi.

Per me è stata una prima entusiasmante esperienza; i ragazzi ed i giovani erano sempre disponibili per qualsiasi attività.

Ricordo il primo gruppo di chierichetti dei quali conservo le foto, ricordo anche i vari convegni, i ritiri spirituali, le gite fatte in diversi posti.

Per 14 anni rimasi Cappellano a Porcari e per me fu un onore ed una riconoscenza assistere fino in fondo il mio proposto don Nanni.

Anche la popolazione che non stimava troppo il Proposto, si accorse di aver perduto non già un organizzatore ma un uomo di Dio che pregava moltissimo e non mancava mai di fare visite agli ammalati.

 

La mia vita ormai volge al desio ed in questi giorni di sofferenze fisiche e morali ho avuto il conforto di un affetto che mi è stato dimostrato da tutti i parrocchiani di S. Quirico e S. Michele in particolare.

Nei lunghi giorni trascorsi in ospedale e a casa ho avuto modo di pregare per tutti, per quelli che ho incontrato durante gli anni del mio ministero nelle parrocchie di Porcari, Valdottavo, Domazzano, S. Quirico e

S. Michele di Moriano.

Mi sono sempre sentito il più povero spiritualmente di tutti voi e quindi non ho voluto mai prendere atteggiamenti duceschi ma fraterni ed è stato possibile con l’amicizia data senza riserve a tutti, in particolare a quelli del Consiglio Pastorale di S. Michele che mi sono stati vicini nelle iniziative messe in opera.

Ringrazio, chiedo perdono se in qualche modo avessi offeso con il mio atteggiamento qualche paesano.

Ringrazio le persone che mi sono state particolarmente vicine: Scipioni Gina, i suoi figli ed altre persone che non sto a ricordare.

A tutti chiedo umilmente una preghiera perché, il Signore mi accolga nelle sue paterne braccia ed io pregherò per voi perché, un giorno possiamo ritrovarci insieme nella gioia del Paradiso.

 

Don Egidio Picchi

 

Fonti: Archivio Arcivescovile. Archivio Parrocchiale.

Conoscenza personale.

Testimonianze di confratelli ed amici.

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Gruppi parrocchiali con don Egidio Picchi.

 

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Don Picchi con i suoi ragazzi.

 

Don Michele Nardini

Rettore di Porcari fino al 9 dicembre 1894

 

I porcaresi più anziani che gravitavano intorno agli ambienti parrocchiali nei primi decenni del ‘900, ne hanno sentito parlare come di una persona piena di arguzia e di risorse.

Oltre ad essere una persona di buona compagnia, doveva essere ottimo anche nel ministero sacerdotale se è vero che l’Arcivescovo in persona, ogni tanto, veniva a trovarlo e trascorreva con lui qualche ora.

Nei quarantasette anni in cui fu Rettore della parrocchia vennero fatte molte ed importanti opere fra le quali risaltano: la costruzione dell’attuale chiesa, essendo la vecchia troppo piccola per gli abitanti della parrocchia; il bellissimo campanile; l’altare maggiore; l’organo; le statue poste sulla facciata della chiesa; le tre grandi porte centrali in legno, nelle quali solo successivamente gli intagli furono sostituiti da calchi in bronzo.

I parrocchiani, attraverso i “sindaci” e i “festaioli”, erano impegnati in prima persona in tutte le opere che venivano messe in cantiere e partecipavano alle ingenti spese sia con contributi in denaro, sia prestando gratuitamente la loro opera manuale.

Don Michele Nardini era di S. Angelo in Campo. Venne a Porcari la prima domenica d’ottobre del 1847 e vi rimase fino alla morte avvenuta il 9 dicembre del 1894. Fu sepolto nell’area comune del cimitero paesano che si trovava proprio adiacente al campanile.

Don Marraccini, che era cappellano e che lo sostituirà

 

Don Michele Nardini

Rettore di Porcari fino al 9 dicembre 1894

 

I porcaresi più anziani che gravitavano intorno agli ambienti parrocchiali nei primi decenni del ‘900, ne hanno sentito parlare come di una persona piena di arguzia e di risorse.

Oltre ad essere una persona di buona compagnia, doveva essere ottimo anche nel ministero sacerdotale se è vero che l’Arcivescovo in persona, ogni tanto, veniva a trovarlo e trascorreva con lui qualche ora.

Nei quarantasette anni in cui fu Rettore della parrocchia vennero fatte molte ed importanti opere fra le quali risaltano: la costruzione dell’attuale chiesa, essendo la vecchia troppo piccola per gli abitanti della parrocchia; il bellissimo campanile; l’altare maggiore; l’organo; le statue poste sulla facciata della chiesa; le tre grandi porte centrali in legno, nelle quali solo successivamente gli intagli furono sostituiti da calchi in bronzo.

I parrocchiani, attraverso i “sindaci” e i “festaioli”, erano impegnati in prima persona in tutte le opere che venivano messe in cantiere e partecipavano alle ingenti spese sia con contributi in denaro, sia prestando gratuitamente la loro opera manuale.

Don Michele Nardini era di S. Angelo in Campo. Venne a Porcari la prima domenica d’ottobre del 1847 e vi rimase fino alla morte avvenuta il 9 dicembre del 1894. Fu sepolto nell’area comune del cimitero paesano che si trovava proprio adiacente al campanile.

Don Marraccini, che era cappellano e che lo sostituirà

 

come Rettore divenendo poi il primo proposto, redasse così l’atto di morte:

Addì 9 dicembre 1894

Nardini M. Rev. Michele di. Gaetano e della fu Teresa Lorenzini, per 47 anni parroco operoso e zelante di questo paese, il dì suddetto alle ore 7, antimeridiane, munito di tutti i conforti della Religione, nell’età di anni 83, mesi 8 e giorni 20, si addormentò placidamente nel Signore e fattegli solenni esequie, a cui prese parte l’intero paese e compianto da tutti, fu sepolto in questo cimitero.

Marraccini

 

Aneddoti

 

Per conoscere ancora meglio questo rettore è forse utile narrare alcuni aneddoti, a me riportati personalmente da alcuni sacerdoti. Essi servono a darci una bella immagine di don Nardini, che, pur gravato da impegni e responsabilità, riuscì sempre a conservare il gusto della battuta e una sana allegria.

Per gustare appieno il primo dei fatterelli che racconterò è necessario fare alcune premesse: fino all’immediato dopoguerra, avere i “fondi” o “le toppe” ai calzoni, in particolare ai ginocchi e di “dietro”, non era vergogna, ma necessità. Vergogna era averle “lise” e “vergogna marcia” averle rotte o nei vestititi della domenica.

La differenza fra i “fondi” e le “toppe” era questa.

I fondi: era la stoffa che solitamente avanzava quando “ci si cuciva” un paio di calzoni nuovi o altro indumento. Si mettevano con cura da parte per utilizzarli nei punti dove, col tempo, i vestiti si sarebbero consumati o strappati e senza i “fondi” non si sarebbero potuti più rammendare.

Le toppe: erano usate allo stesso scopo, ma erano di stoffa diversa.

 

Nelle famiglie, infatti, i figli si vestivano con gli indumenti dei fratelli maggiori, di altri parenti o di amici e conoscenti più ricchi.

Il primo vestito in generale veniva rinnovato per la Prima Comunione o per la Cresima; il successivo in occasione del Matrimonio. Rinnovare vestiti o calzoni al di fuori di queste ricorrenze era una grossa eccezione. In tutti i casi i “rinnovi” dovevano essere “bagnati”: si doveva cioè offrire da bere agli amici che del resto lo sollecitavano. Si indossavano solo per andare alla Messa, “spotteggiando” e ben attenti a non urtare nulla e nessuno. Le giacchette erano rarissime e venivano girate e rigirate più volte; i cappotti poi si tramandavano di generazione in generazione.

 

Le toppe.

 

Quando sento dire che il padre della psicologia moderna è il Piaget, io mi faccio delle grasse risate sotto i baffi.

Secondo me, infatti, fu invece un Proposto porcarese, che, però, ebbe il torto di non scrivere le sue intuizioni.

Parlo appunto di don Michele Nardini che per la verità proprio Proposto non era perché a quel tempo la Parrocchia di Porcari era rettorìa e quindi il prete era Rettore.

Da tempo i giovani della parrocchia andavano alla Messa domenicale più frequentata e, anziché nelle panche, prendevano posto sulla cantorìa dell’organo. Un gruppo di giovani “lassù”, rimaneva praticamente isolato dall’assemblea, e non solo non stava attento ma distraeva anche gli altri.

Poiché la cosa durava ormai da tempo, una domenica don Michele va all’altare per celebrare la Messa deciso ad intervenire.

A quel tempo la Messa era in latino e il sacerdote, nel celebrarla, voltava le spalle al popolo girandosi solo in alcune occasioni.

Al primo “Dominus vobiscum”, quando si volta verso il

 

popolo, insieme ad una “chiesata” di gente, nota laggiù, in fondo, sulla cantorìa dell’organo un gruppo di giovani non proprio attenti a quel che si celebrava.

Durante l’Omelìa il sacerdote trova allora il modo di rivolgersi, molto bonariamente, a quei giovani pressappoco, in questi termini: “Non è bene partecipare alla Messa da lassù; non sentite e poi vi distraete, sarebbe opportuno che domenica prossima cambiaste posto”

La cosa finì lì e il Rettore non chiuse a chiave la porta dell’organo per evitare di irritare quei giovani. Sennonché la domenica dopo, al solito “Dominus vobiscum” vide non solo che i giovani erano “sull’organo” ma che il loro numero era aumentato. Solita ramanzina del sacerdote che li ammonì così: “Vi avevo detto domenica scorsa di non andare lassù; tanto lo so, vi distraete e fate distrarre gli altri fedeli, e poi tirate sassetti e altre cose addosso alle ragazze quando passano di sotto. Domenica prossima non andateci, anche perché chi ci va se ne pentirà”.

Ormai il braccio di ferro era in atto; per tutta la settimana in paese non si parlò d’altro!

Arrivò la domenica e il Rettore va all’altare evitando accuratamente di guardare verso l’organo traboccante di giovani. I presenti guardavano ora il sacerdote, ora i giovani aspettando gli eventi.

Don Michele non si scompose, ma, interrompendo per un attimo la celebrazione della Messa, si rivolse ai fedeli: “Cari parrocchiani, vedete che sull’organo vi sono dei giovani; sono quelli che vanno lassù perché hanno le toppe al culo”

In Chiesa calò un silenzio di tomba; il sacerdote si voltò continuando la messa e la domenica dopo la cantorìa dell’organo era deserta.

Per gustare i due aneddoti che seguono dobbiamo tener presente la distanza e l’eccessivo ossequio che c’era, all’epoca, verso ogni tipo di “autorità”.

 

Priorità.

Il Rettore stava recitando l’Ufficio. Entra la Perpetua e lo avverte: “Sor Rettore, è arrivato l’Arcivescovo”.

E lui: “Digli che prima parlo col Principale e poi col suo rappresentante”.

 

L’amicizia.

Una volta l’Arcivescovo stava facendo i complimenti a don Michele per l’eccellente qualità di vino che gli stava facendo assaggiare e lui: “Eccellenza, ce n’ho anche di meglio, ma quello è per gli amici”.

L’Arcivescovo: “Ma come, allora io non sono tuo amico ? Rettore: “I superiori non sono mai amici”.

 

La bigongia.

Erano passate le feste natalizie ed eravamo a Befana. I contadini avevano già ammazzato il maiale, ma la bigongia del prete, che ogni anno si riempiva di carne e bistecche di maiale che lui diligentemente metteva sotto sale, non era piena neanche a metà! Ascoltate un passo della predica che Don Michele fece quella domenica dall’altare:

“Cari parrocchiani, le feste natalizie e l’Epifania del Signore ci hanno fatto riscoprire l’importanza e la necessità di una fede sincera e salda.

Purtroppo, devo constatare che anche nella nostra parrocchia la fede è in diminuzione, scarseggia. Io, infatti, ho un metro per misurare la vostra fede. La bigongia sotto l’acquaio l’anno scorso di questi tempi era già piena e ne dovetti aggiungere un’altra! Quest’anno non ho ancora riempito il culo della prima!”.

 

L’ultimo fatterello è estremamente interessante perché ci fa vedere un sacerdote arguto e pronto alla battuta, ma disposto ad accettare anche risposte altrettanto sapide.

Il Rettore è pronto ad andare all’altare, ma l’unico

 

chierichetto presente quella mattina non vuol servire la Messa. Allora don Nardini: “Se mi servi la Messa poi ti dò la pattona! ” (un dolcetto di farina dolce o, come si diceva, “farina neccia”). Il ragazzino si convince e va all’altare. Dopo un po’, però, si blocca e non serve più. Il sacerdote lo guarda interrogativamente. Allora chierichetto s’avvicina e gli mormora: “Ma po’ la pattona me la dai ?”.

 

Fonti: Archivio Parrocchiale.

Testimonianze di confratelli che ne hanno sentito parlare da chi l’aveva conosciuto.

Per approfondire: Archivio Parrocchiale. Archivio Arcivescovile.

 

Mons. Pietro Tocchini

 

La figura di questo sacerdote assume un significato particolare perché, oltre che nell’ambito religioso, spiccò in campo sociale e politico.

Fu un educatore eccezionale che instaurò coi giovani della propria parrocchia anche un rapporto d’amicizia che non si interrompeva neanche nei periodi in cui erano militari o in guerra.

Molti dei dirigenti del Partito Popolare prima e della Democrazia Cristiana poi, alcuni dei quali divennero poi anche parlamentari, furono giovani della sua parrocchia e da lui formati. Ne ricordiamo alcuni: Ferdinando Martini, Senatore; Giovanni Carignani, Deputato al Parlamento; Italo Baccelli, divenuto Sindaco di Lucca; Quirino Baccelli, Deputato al Parlamento. Altri si affermarono nei campi più diversi.

Ebbe capacità organizzative eccezionali derivate anche dalla consapevolezza che ai propri doveri si deve adempiere nel miglior modo possibile.

Fu attento ai segni dei tempi, all’uomo ed alla sua dignità e per questo si dette da fare in maniera concreta difendendo i diritti dei lavoratori.

Detto questo, andiamo con ordine.

Fu certamente un sacerdote illuminato e anche se fu sempre determinato negli impegni da portare a termine, non risultò mai un prevaricatore, ma rifulse invece per la pazienza e la comprensione che ebbe anche nelle situazioni più drammatiche.

 

E’ per questo probabilmente che la Chiesa lucchese lo chiamò ad assolvere compiti delicati e difficili in momenti particolari.

Così fu quando la parrocchia di S. Marco visse momenti drammatici al momento di nominare il nuovo Parroco dopo la morte di Don Angelo Romanini.

due concorsi indetti per la nomina del nuovo Parroco andarono deserti “perché oltre il rilassamento spirituale della popolazione a cagione della lunga invalidità del Parroco defunto e il pessimo stato della canonica e della Chiesa, un piccolo gruppo di parrocchiani aveva organizzato un’agitazione per ottenere la nomina a Parroco”.

L’Arcivescovo, d’intesa con l’autorità civile, decise di temporeggiare ma la situazione peggiorò; allora, la mattina del 9 agosto 1908, il Vicario Generale Mons. Parenti comandava a Mons. Tocchini di raggiungere subito la canonica di S. Marco per tenere compagnia al parroco, don Della Santina, che l’Arcivescovo vi aveva nominato.

Ma la mattina del 12, don Della Santina supplicò i superiori di volerlo esonerare.

Mons. Tocchini, rimasto per volontà dei superiori a custodire la chiesa perché non si tentasse nuovamente di chiuderla, pacificati gli animi, il 31 ottobre fu nominato Economo Spirituale e il 6 marzo del successivo 1909 ebbe l’investitura della parrocchia.

bene che fece a S. Marco fu enorme.

Con la predicazione delle SS. Missioni del 1909, favorì il ritorno di non pochi alla vita cristiana e si riaccese nei fedeli il fervore della fede.

Fu costituito il “Circolo Coraggio” ispirato ai principi dell’Associazione Nazionale della Gioventù Cattolica Italiana e poi a questa aggregato.

Fra le iniziative del Circolo vi fu quella della costituzione di una Biblioteca circolante per far fronte alla stampa immorale che veniva largamente diffusa in tutti gli strati sociali e

 

l’organizzazione di una grande manifestazione a carattere diocesano “per ottenere che nelle scuole frequentate dai figli dei cattolici italiani e sostenute coi loro contributi, fosse impartito anche l’insegnamento della religione”. La cosa ebbe risonanza nazionale e la partecipazione fu enorme.

Vennero organizzate anche attività ricreative, sociali, benefiche e culturali, oltre a congressi e convegni.

Nell’immediato dopoguerra - la prima guerra mondiale - il Circolo, su proposta di Ferdinando Martini, che durante il periodo bellico aveva incontrato molti soldati analfabeti, aprì, nelle stanze adiacenti alla chiesa, una Scuola Elementare serale per quei giovani che desideravano prendere almeno il foglio di proscioglimento necessario per l’ammissione al lavoro.

Particolare attenzione ebbe la formazione spirituale, soprattutto attraverso Ritiri Spirituali ed Esercizi.

Il Parroco però, contemporaneamente alle iniziative di carattere spirituale e formativo, non si dimenticava dello stato di degrado in cui versavano gli immobili parrocchiali a cominciare dalla Chiesa che, oltre ad essere insufficiente perché costruita per i 700 abitanti del 1776-79 rispetto ai

2.000 di allora, era cadente e antigienica per essere il suo piano rimasto al di sotto del livello delle vie adiacenti.

Le cose non furono semplici. Prima il Comune ostacolò il progetto della costruzione della nuova Chiesa, poi si dovette attendere la fine della guerra. Comunque il 23 ottobre 1921 fu benedetta.

 

Le organizzazioni operaie

 

Il Parroco però era continuamente rattristato, come scriverà lui stesso, “per lo stato di indigenza di tante famiglie a causa dei bassi salari che venivano pagati agli operai dopo lunghe e penose ore di lavoro”.

 

Si deve far presente che nella parrocchia di S. Marco avevano sede il più grande stabilimento della provincia, la Cucirini, e altri minori.

Il nostro sacerdote si pose la domanda se era giusto e cristiano starsene indifferenti dopo la Rerum novarum, la grande Enciclica di Papa Leone XIII e di fronte alle organizzazioni “rosse” che pretendevano di essere le uniche rappresentanti dei lavoratori.

Serve ricordare anche lo stato di disagio di molti lavoratori che mal digerivano accodarsi ai socialisti, di cui non gradivano l’ostilità nei confronti della religione.

Chiesto consiglio e aiuto ai dirigenti della Confederazione Italiana dei lavoratori, già costituitasi a Milano fino dal 1908 per iniziativa dei cattolici sociali di quella città, esortò le operaie, che negli stabilimenti lucchesi erano la stragrande maggioranza, a organizzarsi in una lega compatta ad imitazione delle lavoratrici dell’Alta Italia che si erano già raccolte nel Sindacato Italiano Tessile fondato da Achille Grandi.

Come dice lo stesso Tocchini, l’idea fu accolta con entusiasmo e dopo alcune assemblee preparatorie, il 25 febbraio 1919 oltre 700 operaie degli stabilimenti Cucirini proclamarono costituita la “Lega Lavoratori del Cotone” votando un ordine del giorno di adesione all’agitazione promossa dal Sindacato Italiano Tessile per ottenere le 8 ore di lavoro e adeguati miglioramenti.

Il 7 marzo, con un accordo a livello nazionale fra gli Industriali Tessili e una Commissione della Confederazione Italiana dei Lavoratori, furono concesse ai lavoratori le 8 ore e un primo aumento di salario.

Questo successo contribuì alla costituzione nella provincia di molte altre leghe, fra cui quella degli operai delle Cartiere di Marlia, Collodi e Villa Basilica, dei bottonieri, dei fornai e pastai di Lucca, degli infermieri ecc.

Potremmo ancora parlare della costituzione della Cooperativa di consumo e sala convegno per gli operai dell’Ac-

 

quacalda, dell’organizzazione dei contadini o della costituzione della Cooperativa Tipografica Editrice Lucchese che prevedeva già un modesto utile per i lavoratori, ma il discorso si farebbe lungo e riteniamo già sufficiente ciò che si è detto per capire e valutare l’opera di Mons. Tocchini.

All’avvento del fascismo il risultato era eccezionale: 62 Leghe di lavoratori dell’industria e 66 Leghe Contadine con circa 14.000 tesserati.

Per questo suo impegno in campo socio-politico Mons. Tocchini è entrato a far parte della storia del movimento cattolico in Italia e il Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia edito da Marietti lo cita, riportando le fasi più significative di questo impegno.

Nel 1925, “sia per fatti turpi e crudeli in danno dei bambini riportati dai giornali”, sia per la preoccupazione che aveva il Tocchini nel vedere tante madri lavoratrici lasciare i propri figli a casa non sempre guardati come si deve, acquistò, a levante della nuova chiesa, il terreno per la costruzione di un asilo.

Nel 1928 però, avendo ricevuto l’Arcivescovo Torrini da Papa Pio XI il mandato di costruire ex novo il Seminario, volle a tutti i costi che il nostro sacerdote si assumesse questo compito.

Nel 1930 Mons. Tocchini, che intanto aveva donato il terreno alle Suore Dorotee con la condizione che vi costruissero un Asilo, fu nominato, nonostante le sue resistenze, Rettore del seminario e costretto a salutare i suoi parrocchiani. Nel medesimo anno era stato nominato anche Prelato domestico di S.S..

Da quel momento il suo impegno sarà tutto teso a ben operare nel nuovo incarico che lo vedrà infaticabile.

La prima pietra del nuovo Seminario fu posta dall’Arcivescovo Mons.

Antonio Torrini l’8 settembre 1933.

Nel 1945, con Bolla ap. del 6 novembre, fu nominato Arciprete della Metropolitana.

 

Mons. Pietro Tocchini di Emilio e di Pasquina Lucchesi, era nato a Badia Pozzeveri, in località “Pollino” il giorno 8 febbraio 1885.

Non nacque quindi a Porcari ma la famiglia vi venne ad abitare successivamente, in località “Boccio” di Padule, che all’epoca era parrocchia di Porcari.

E’ da specificare comunque che le famiglie abitanti nel “Pollino” frequentavano il paese e la parrocchia di Porcari anche se territorialmente facevano parte della Parrocchia di Badia Pozzeveri.

Morì a S. Marco-Lucca, dove si era ritirato con la sorella, in un appartamento adiacente all’asilo da lui voluto, il 9 ottobre 1965.

 

Fonti: Notizie storiche della parrocchia di S. Marco dello stesso Tocchini- Eito Tip.

Artigianelli - Lucca 1959.

Da chi lo conobbe personalmente. Archivio Arcivescovile.

 

Per approfondire: Tocchini-Lazzarini, Storia dei Seminari di Lucca-, in Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti, Studi e Testi, I Lucca 1969; P. Tocchini, Come nacquero a Lucca le organizzazioni cristiane e Come nacquero a Lucca le leghe bianche, pubbl. sul Periodico dei Lavoratori - Lucca, die. 1956-gen.’58; Dizionario Storico del Movimento Cattolico in Italia, Ed. Marietti; Archivio Arcivescovile: Fondo Tocchini.

 

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Mons. Pietro Tocchini.

 

Mons. Giovanni Barsotti (e le sorelle)

 

Uscì di casa quella mattina, stanco e ammalato: andava a ricoverarsi presso la Casa di Cura delle suore Barbantine che generosamente lo accoglievano.

Mentre attraversava piazza S. Martino, uno dei suoi amici, un povero, gli andò incontro.

Mons. Giovanni Barsotti rimase un attimo assorto, poi si tolse l’anello dal dito ( era Canonico-Arciprete del Capitolo Metropolitano e Parroco della Cattedrale), lo porse al “suo amico” e affrettò il passo.

Ora non possedeva più nulla. Si stava avviando verso la Casa del Padre insieme alla sua povertà e al suo amore per la Chiesa, per gli ultimi.

Probabilmente il pensiero gli riandava agli anni di ministero sacerdotale, ai giovani che aveva aiutato spiritualmente e materialmente, diversi dei quali presero la via del Seminario.

Dal letto dell’ospedale una sola raccomandazione ai più intimi che lo andavano a trovare: “Pensate alle mie sorelle, perché non hanno niente, niente! ”.

Le sorelle: Maria e Marianna. Che fede! Le ho conosciute. Andarono ad abitare col fratello quando fu ordinato sacerdote, ma avevano sempre mantenuto rapporti strettissimi con i porcaresi che ben conoscevano la loro bontà. Quando rimasero sole, alcune famiglie di Porcari le aiutarono molto.

Le andai a trovare, insieme ad Amabilia del “bozzo”, la vigilia di Natale del 1958.

 

Non credevo ai miei occhi! Abitavano in due o tre stanze malandate al secondo piano di un edifìcio che stava in piedi per miracolo e che in seguito fu demolito. Poca mobilia; pochissime e malandate le sedie.

“Anche stasera è arrivata la Provvidenza, hai visto Angelina?” disse Marianna, quando Amabilia mise sulla tavola quello che aveva portato.

“E’ successo come per l’insalata”, rispose Angelina.

Seppi poi che la sera prima avrebbero fatto caso di un po’ d’insalata da mangiare col pane. L’insalata era arrivata.

Mi resi conto che lì dentro la povertà era una cara sorella che le aiutava a servire meglio nostro Signore e a capirne la bontà; la Provvidenza la loro compagna di viaggio; Gesù Eucarestia il centro della loro spiritualità e la Madonna una mamma a cui far riferimento sicure di essere capite.

Feci degli accenni al fratello perché me ne parlassero. Ne dissero con affetto e ammirazione: “Era buono, dava tutto ai poveri”

Mi confermarono anche il fatto dell’anello.

Quando morì Marianna, Angelina fu presa in casa dalla famiglia di Carolina, una pia signora che in momenti di grosse difficoltà familiari era stata molto aiutata da Mons. Barsotti.

Quella sera la “Messa di Mezzanotte” non l’ascoltai con molta attenzione. Il pensiero mi andava a quelle due vecchiette, al loro fratello che si era consumato per Gesù e che per eredità aveva lasciato loro la Divina Provvidenza.

Riportiamo il necrologio pubblicato sul Bollettino Diocesano alla morte di Mons. Barsotti:

“Mons. Giovanni Barsotti, Canonico Arciprete della Cattedrale, il 6 agosto 1945 chiudeva la sua santa vita nella Casa di Cura delle Suore Barbantine di questa città.

Era nato a Porcari 1*11 novembre 1881. Compiuti gli studi nel Seminario Arcivescovile, fu ordinato sacerdote il 28 maggio 1904.

Fu Cappellano a Bagni di Lucca, Parroco Fiano, Cappel-

 

lano delle Piccole Suore dei Poveri, lasciando dappertutto tracce del suo illuminato zelo. Tornò al Seminario come Insegnante di Storia Ecclesiastica e poi anche come Vice Rettore. Lasciate le cure della parrocchia, diresse con competenza l’importante Archivio Capitolare, ufficio che conservò anche quando ultimamente fu nominato Arciprete della Cattedrale stessa. Era pure Esaminatore Sinodale e socio dell’Accademia Lucchese di Scienze.

Studioso di memorie storiche ne fece apprezzate pubblicazioni.

Diversi anni dopo la visita fatta alle sorelle di Mons. Barsotti, che nel frattempo erano decedute, decisi di approfondire di più la conoscenza della personalità e dell’operato di questo nostro compaesano anche perché avevo avuto l'incarico di fare degli articoli sulla storia della spiritualità porcarese per il Bollettino Parrocchiale “Regnum Cristi”.

Chiesi informazioni da dove o da chi avessi potuto attingere notizie e mi fu indicato Mons. Pietro Lazzarini, Arciprete della cattedrale.

Previo contatto telefonico, mi recai da lui.

Non lo conoscevo personalmente; avevo letto alcuni suoi libri e ascoltato diverse sue omelie. In diocesi era stato - e lo era ancora nonostante i suoi ottantacinque anni - una delle figure più significative.

Mi accolse, cordiale e sorridente, nell’appartamento che occupava in Via Elisa, proprio sopra il Monastero della Visitazione, in una freddissima mattina d’inverno. Mi accorsi subito, quasi con sgomento, che non c’era riscaldamento di alcun genere.

Ci accomodammo in una stanza fortunatamente un po’ riscaldata da un pallido sole.

C’era un silenzio assoluto, interrotto a tratti dalla campana del monastero che ricordava alle claustrali i momenti più significativi della giornata.

Lucidissimo, ricordava avvenimenti lontani nel tempo

 

senza sforzo e con dovizia di particolari.

“Oh, eravamo tanto amici, Mons. Giovanni ed io. Sono contento di poterne parlare e ancora di più che voi porcaresi vi siate ricordati di lui.

L’ho conosciuto dal tempo in cui ero in seminario. Lui era Vice- rettore..Scopro così che Mons. Barsotti non fu solo il Canonico dei poveri, ma anche una grande figura di apostolo e uomo di vasta cultura.

Intuì, significativamente, i segni dei tempi istituendo una scuola di Religione per ragazze (a quel tempo la religione non si insegnava nelle scuole).

Fu chiamata Scuola “Contessa Matelda”.

Risultò un’intuizione provvidenziale che sollecitò molte giovani a vivere con gioia e ricchezza interiore il proprio cristianesimo, preparandole contemporaneamente a capire l’importanza e l’urgenza di portare Gesù agli altri. Da questa scuola usciranno le future dirigenti dell’Azione Cattolica femminile lucchese.

Parroco della Cattedrale, lavorò intensamente e senza sosta. Puntava ad una formazione che rendesse il più possibile disponibili a Dio, sul modello di Gesù.

Ecco allora che fonda l’Associazione delle Vittime.

Gli aderenti si consacravano vittime dell’Amore Misericordioso. Forse per noi può sembrare qualcosa di strano e di puerile, ma se approfondiamo il significato di questa scelta credo non sia così, anzi!

Sappiamo che Gesù ci ama di un amore tenero e misericordioso, pronto a capirci e perdonare; queste persone si mettevano a disposizione di questo amore di Gesù perché le difficoltà, gli imprevisti della vita e quindi le sofferenze fossero da Lui usate come meglio credeva e si aggiungessero alle sofferenze da Lui patite per la salvezza degli uomini e la conversione dei peccatori.

Credo che per far parte di questa associazione occorressero una preparazione e una sensibilità spirituale non comuni.

 

Fu direttore diocesano dell’Apostolato della preghiera e unitamente alla prima presidente Sig.ra Elisa Torselli, già Allemann, oriunda Svizzera e convertitasi dal protestantesimo, diffuse in tutta la Diocesi la devozione al Sacro Cuore che culminò nella solennissima consacrazione al Cuore SS.mo di Gesù, con una partecipazione imponente.

Fu eccezionale nell’educare e nel formare la gioventù.

Basti ricordare per tutti quella bella figura di giovane cristiano che fu Renato Masini, detto “il dottorino santo”.

Mons. Barsotti lo formò e seguì fino alla morte, avvenuta per tisi, una malattia che all’epoca non perdonava, contratta, si dice, perché il Masini andava ad assistere un altro giovane ammalato di tale morbo. Sono state pubblicate tre biografie del Masini e a Lucca fu anche iniziato l’iter per la beatificazione con il “Processo informativo sulla vita in genere e le virtù in specie del Servo di Dio Renato Masini”. I risultati furono mandati a Roma, dove per circostanze diverse, tutto si è fermato.

Ma il nostro compaesano fu, come abbiamo detto, anche un uomo di cultura.

Si dedicò soprattutto alla storia e pubblicò diversi libri.

Il fatto di essere archivista nell’Archivio Arcivescovile certamente lo aiutò e lo spronò su questa strada.

Merita soprattutto di essere ricordato il libro Lucca Sacra, importantissimo, e uno studio particolareggiato sul Volto santo, dal quale emergono novità interessanti.

Per noi porcaresi è giusto ricordare il suo libretto, Una Santa Lucchese-Gemma Galgani, dove più volte parla delle permanenze della Santa presso la casa del nonno a Porcari- Rughi e dove dedica un capitolo anche alla compaesana Eufrosina Ramacciotti, della quale si parla anche nella presente pubblicazione.

Ecco come parla di Porcari nel suo libro Lucca Sacra - Guida Storico- Artistico-Religiosa di Lucca:

“Ecco il colle di S. Giusto di Porcari, testimone millenario

 

della potenza delle nobilissime famiglie dei Porcaresi e dei Di Poggio, non meno che di quella dei vescovi di Lucca. Alessandro II papa soggiornò nel feudale castello con la sua corte, in riva al lago di Sesto, ora padule di Bientina. Molte casate di antica data portano il cognome Toschi, parola di sapore etrusco. Notevole, benché non vi abbia relazione, il fatto che nel 1892 sull’argine sinistro della Ralletta, là dove il fosso, dopo avere attraversato tra file di pioppi e salici a guisa di nastro d’argento, prati e campi ben coltivati, sbocca nel padule scoperto, fu trovata una tomba etrusca con la figurazione del mito di Teseo. Giace ora in Pinacoteca".

Ma questo ritratto di Mons. Barsotti mi piace terminarlo con le ultime parole di Mons. Lazzarini:

“Fu grande nelle opere di carità; trovava i soldi, tanti e con facilità. E’ morto povero, poverissimo".

Dopo la morte, i suoi abiti talari furono venduti ( ma ciò non era cosa rarissima a quei tempi) per aiutare le sorelle.

 

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Mons. Giovanni Barsotti

 

Mons. Vincenzo Del Carlo

 

L’avevo conosciuto, o meglio visto, da chierichetto quando lui, da buon porcarese, ogni anno veniva a celebrare la Messa nella nostra chiesa parrocchiale il giorno dopo la festa del Rosario, quando a Porcari si celebra la giornata del Ringraziamento alla Madonna per la cessazione della peste - o meglio del colera - che colpì il paese nel 1855.

Era accolto con rispetto dai sacerdoti e dal popolo e noi chierichetti venivamo invitati ad andarlo a salutare col bacio dell’anello come ad un Vescovo, mentre lui, in ginocchio sulla panca accanto alla sacrestia, aspettava in preghiera l’orario per la celebrazione della messa.

Lo incontrai poi anni dopo, quando, a nome dei giovani d’Azione Cattolica della parrocchia, lo pregai di sostenere la causa di far rimanere come Proposto a Porcari don Egidio Picchi, Cappellano, in un momento in cui la parrocchia era rimasta senza parroco per la morte di don Guglielmo Nanni.

Il colloquio non fu proprio idilliaco perché le esigenze della Chiesa lucchese non collimavano con quelle porcaresi.

Ho potuto conoscere più approfonditamente Mons. Del Carlo e il lavoro da lui svolto in diocesi attraverso gli incarichi affidatigli, che furono numerosissimi e molto importanti, consultando l’Archivio Arcivescovile.

Ebbe indubbiamente una grande personalità, un alto senso del dovere e fu un lavoratore indefesso. Gli si attribuirono - ed aveva - molte doti e molte qualità prima fra le quali “Una fede semplice e sicura senza tentennamenti e laboriose

 

elucubrazioni. Innestata al suo naturale temperamento, gli permetteva di vivere e di affrontare le difficoltà, senza tensione ed angoscia. Perfino le cose sacre poteva trattarle con singolare naturalezza e con tranquilla semplicità. Per cui, in questa fede, nitida e operosa, si può configurare pieno il suo più vero ritratto di uomo di chiesa e di servo di Dio” (Mons. E. Bartoletti, Elogio funebre, “Bollettino dell’Arcidiocesi”).

Molti ritennero sempre che avrebbe potuto essere chiamato a compiti più alti; altri, che, pur essendo stato scelto a questi compiti, l’Arcivescovo Tonini preferì non dare il suo placet essendogli, il nostro Monsignore troppo prezioso in diocesi.

L’Arcivescovo Torrini, del resto, non era nuovo a certi atteggiamenti. In alcuni casi, come per don Martino Giusti - divenuto poi Prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano e quindi Vescovo - per sollecitare Mons. Torrini a dare il suo placet per farlo rimanere a Roma dovette intervenire direttamente il Papa, Pio X.

Mons. Del Carlo era conosciutissimo anche in altre diocesi che ricorrevano a lui per delucidazioni e consigli. Ne capiremo meglio il perché quando vedremo gli incarichi ricoperti.

Mons. Vincenzo Del Carlo nacque a Porcari il 27 febbraio 1878. Fu ordinato sacerdote il 22 settembre 1900.

Conseguita al Pontificio Istituto di Studi Giuridici (Apollinare) la laurea in Diritto Canonico, nel 1904 fu nominato docente nei Corsi teologici del Seminario Diocesano; insegnò a lungo Teologia Morale e Diritto Canonico e fu anche per vari anni Prefetto degli Studi.

Nel 1908 entrò a far parte della Curia Arcivescovile prima come aggiunto alla Cancelleria e poi come Notaro del tribunale Ecclesiastico.

Nel periodo della Grande guerra fu Economo Spirituale della Parrocchia di Badia Pozzeveri.

S. E. Mons. Arturo Marchi il 10 giugno 1918 lo nominò

 

Pro Vicario Generale ed Officiale del Tribunale Ecclesiastico ed il 9 ottobre dell’anno 1919 Vicario Generale; ufficio nel quale fu confermato nel 1928 da S. E. Mons. Antonio Torrini.

Nominato nel 1919 Canonico Onorario del Capitolo della cattedrale, il 21 febbraio 1921 ne divenne Canonico Effettivo e il 22 novembre 1924 fu promosso alla dignità Arcidiaconale. Il Capitolo della Cattedrale nel febbraio 1928, alla morte di S. E. Mons. Marchi, lo elesse Vicario Capitolare.

Il 27 luglio 1936 fu nominato Protonotario Apostolico ad Instar.

Mons. Del Carlo fu anche per vari anni Assistente Ecclesiastico della Giunta Diocesana di Azione Cattolica. I bambini del Rifugio Carlo Del Prete lo ebbero loro amato Cappellano.

Oltre che Vicario Generale e Officiale del Tribunale Ecclesiastico, era Esaminatore Sinodale, Presidente del Consiglio Amministrativo Diocesano, Presidente della Commissione Diocesana per l’Arte sacra, membro del Tribunale Ecclesiastico Regionale.

Servì l’Arcidiocesi per ben sessantatré anni, collaboratore instancabile di tre Arcivescovi.

“Chiuse gli occhi nel Signore”, il 12 gennaio 1963.

I messaggi di cordoglio furono numerosissimi, sia fra il clero, anche di altre diocesi, sia fra le autorità civili.

I funerali si svolsero la mattina del 13 gennaio e riuscirono imponenti per la partecipazione del clero regolare e secolare, del Seminario, dei Collegi Ecclesiastici, delle Autorità e rappresentanze e degli Istituti Religiosi.

Nella Cattedrale cantò la Messa Pontificale S.E. Mons. Bartoletti, vescovo ausiliare, con l’assistenza di S. Em. Card. Oliarlo e di Mons. Arcivescovo, che impartì l’assoluzione alla Salma. La Schola Cantorum del Seminario accompagnò il rito con l’esecuzione della Missa da Requiem di Perosi.

 

Oltre ai nipoti, pronipoti e ai rappresentanti della Chiesa Toscana, erano presenti le più alte cariche della provincia a cominciare dal Prefetto e dal Sindaco di Lucca. Presente anche il Sindaco di Porcari con il labaro e membri della Giunta e del Consiglio Comunale.

 

Fonti Archivio Arcivescovile.

“Bollettino dell’Archidiocesi di Lucca” .Organo Ufficiale. Anno LI, gennaio 1963.

Archivio Parrocchiale.

 

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Mons. Vincenzo Del Carlo, Protonotario Apostolico.

Mons. Domenico Fanucchi

 

“Egli che in cima alle sue memorie spirituali aveva scritto: Beato chi del misero e del mendico si prende pensiero: il Signore lo libererà nel dì del dolore..

.Alla tua cura è rimesso il povero; aiuto dell’orfano sarai tu...spezza all’affamato il tuo pane e i poveri e i raminghi menali alla tua casa..., fu generoso col povero oltre le proprie finanze; alla gioventù povera e abbandonata rivolse le sue cure e ne fu il protettore e il padre amabilissimo” (Can. N. Berna).

Fu un pastore tutto teso a salvare le anime e un lavoratore infaticabile.

Dotato di molte virtù, alle quali accenneremo più sotto, ebbe un’intelligenza ed una preparazione fuori del comune. Appena ordinato sacerdote gli venne affidata la cattedra di matematica nel seminario decanale di S. Michele che lui stesso aveva frequentato, ma, cosa ancora più sorprendente, a soli ventisette anni divenne Rettore del medesimo seminario.

Nella Lucca di fine ’800, don Fanucchi divenne ben presto celebre come predicatore. “Evangeliz/ò i fedeli col lascino di una parola semplice ma dotta ed eloquentissima, portando innumerevoli anime sulla via della virtù e alla perfezione cristiana” (Can. N. Berna). Sono da ricordare le sue Missioni, predicate nel carcere di S. Giorgio.

Ma ben presto si fece un nome anche come pubblicista: fu autore di diversi trattati di Morale, ampiamente lodati dall’autorevolissima “Civiltà Cattolica”.

 

Fondò e diresse il periodico rivolto al clero “Schola Clericorum et Cura animarum “a tiratura nazionale, iniziativa che gli valse la benevolenza di S. Pio X. La pubblicazione si occupava della formazione del clero nel suo santo e difficile ministero.

Gli venne affidata anche la cura dell’Opera dei Congressi per la regione Toscana, l’associazione fondata dal Conte Acquaderni, che darà origine all’Azione Cattolica.

Il Cardinal Lorenzelli, divenuto Arcivescovo di Lucca, volle Mons. Fanucchi al suo fianco come Vicario Generale, “un ruolo difficile in un tempo difficile: il tempo del modernismo in campo teologico e dell’intransigentismo in campo politico-ecclesiale, il clero è diviso, le logge massoniche fagocitano gli intellettuali, e nel cristianesimo lucchese emergono figure difficili da giudicare: Gemma Galgani, Elena Guerra, Domenica Barbantini, Padre Antonio Pucci”.

Il comportamento del nostro paesano fu tale che S. Pio X, con Breve Pontificio del 23 agosto 1907 lo nomina Vescovo della diocesi di Città della Pieve, in Umbria.

Sembra che già la nomina a Vicario Generale non fosse stata accolta da don Fanucchi con grande entusiasmo, se non addirittura con riluttanza. La nomina a Vescovo, poi, lo coglieva proprio in un periodo in cui pare stesse pensando di lasciare i ruoli di governo della Chiesa per farsi Passionista e dedicarsi solamente alla predicazione.

Pio X, saputo delle sue titubanze gli inviò una lettera in cui si diceva: “Vada nel nome della santa obbedienza, che ho bisogno di buoni cirenei che mi aiutino a portare questa croce fino al calvario”. Mons. Fanucchi accettò.

L’8 settembre fu consacrato vescovo nella Cattedrale di S. Martino e il 15 marzo 1908 fece l’ingresso nella sua diocesi.

Lavorò nella diocesi di Città della Pieve per un periodo troppo breve ma, come scrisse all’epoca il Can. N. Berna, “fu come un raggio fuggevole di luce smagliante, perché in soli

venntotto mesi di faticoso Episcopato condusse a compimentoto opere ed istituzioni che alimentate saranno la salvezza del popolo suo".

Ebbe tempo di fare la Visita Pastorale in tutte le parrocchie e di scrivere due Lettere Pastorali al suo clero, delle quali conserviamo le copie nell’archivio parrocchiale.

La dedizione al proprio ministero pastorale che assolveva con altissimo senso del dovere non gli lasciava il tempo per badare ai propri malanni. Tutto ciò, abbinato alle fatiche della Visita Pastorale, secondo il Berna, gli spezzò la vita.

Era nato a Porcari il 20 dicembre 1846, morì alle ore due del 22 luglio 1910 nel suo Episcopio.

Era stato colto da dolori acutissimi, la notte del 21 luglio, causati da forte diabete mai avvertito, la morte chiuse la sua vita terrena nel giro di ventiquattr’ore.

Così il Berna: “...Cuore, coscienza e ragione lo preavvisarono dell’ora di Dio ed egli con la forza di un atleta dominò se stesso, annunziando l’istante tremendo ai suoi familiari. Morì con la fronte serena, guardando il Cielo come chi va a ricevere il premio meritato, morì come muoiono i Santi".

 

Era sempre rimasto molto legato alla nostra parrocchia ed alla nostra bella chiesa che aveva visto nascere ed era presente alla sua inaugurazione.

In segno di questo attaccamento volle lasciarle l’oggetto più caro: la croce pettorale.

Fonti: Archivio Arcivescovile, dove si possono fare approfondimenti.

Periodico “Schola Clericorum et Cura animarum”, da lui fondato, in particolare il voi. IV - Parte I - Fascicolo VII - Luglio 1910. Sempre all’Arch. Arcivescovile: Can. D. Nazzareno Berna, Ricordo di Morts. ¥anuechi.

Per approfondire: I suoi scritti; Archivio Arcivescovile; Archivio Decanale di S. Michele; Archivio Parrocchiale di Porcari, dove sono anche le Lettere Pastorali che scrisse per la Diocesi di Città della Pieve.

 

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Mons. Domenico Fanucchi, nominato Vescovo di Città della Pieve.

Eufrosina Ramacciotti

La piccola Santa di Porcari

 

Dovrebbe essere riscoperta la spiritualità del popolo lucchese e quindi porcarese dalla metà dell’ 800 alla prima parte almeno del ‘900. Perlomeno nelle anime più elevate si trova una sensibilità religiosa senza fronzoli che va all'essenziale: la S. Messa, la Comunione, la meditazione che si mani festava soprattutto nell’adorazione Eucaristica, la Croce. Da qui un’attenzione speciale per gli ammalati e i poveri. Accanto a questo, una particolare devozione alla Madonna, che è arrivata fino a noi, e alle Anime del Purgatorio.

E’ la spiritualità dei sacerdoti porcaresi di cui parliamo in questo libro, quella di S. Gemma, della Beata Elena Guerra ed è anche di Eufrosina Ramacciotti.

I documenti su Eufrosina, in nostro possesso, sono: un libretto scritto dal suo direttore spirituale, sac. Olivo Dinelli, Rettore di Gragnano e per quattro anni Cappellano di Porcari, dal titolo Cenni sulla Vita di Eufrosina Ramacciotti di Porcari, Tipografia S. Paolino, Lucca 1875: un originale di questo libretto, che, gelosamente custodito da don Dante Ramacciotti, parente dell’Eufrosina, alla morte del sacerdote i parenti hanno donato a chi scrive assieme ad un interessantissimo catechismo del 1852 di Eufrosina stessa; un libro di Mons. Giovanni Barsotti, porcarese, intitolato Una Santa Lucchese Gemma Galgani, Libreria Editrice Baroni, Lucca, in cui si riserva un capitolo ad Eufrosina; una dichiarazione del doti. Carlo Galgani, nonno di S. Gemma, che Eufrosina curò nella lunga e penosa malattia che la portò alla tomba e che l’aveva

avuta in casa come “infermiera singolare” durante la malattia del nipotino, fratello di Gemma, che morì giovanissimo; e, inoltre, la testimonianza del sacerdote che ne registrò l’atto di morte e che intese riferire, oltre al proprio giudizio, anche la voce comune. Fu lui ad aggiungere queste parole:

“Eufrosina fu una fanciulla di costumi intemerati, in lei in modo speciale rifulsero queste virtù: la castità, l’umiltà fino al perfetto grado, la carità. Ebbe poi lo spirito della preghiera, la sua vita è stata una continua orazione. Era piena d’amore di Dio. Grande mortificazione nel cibo. Avidissima di ricevere il Signore. Consumava lungo tempo nel ringraziamento. Era stimata, tenuta e temuta anche dai malviventi. E dopo una malattia di 14 mesi, da lei chiesta al Signore, morì nel bacio del Signore, lasciando odore di santità, il suddetto giorno”.

Già da queste righe possiamo farci un’idea di chi fosse Eufrosina Ramacciotti che nacque a Porcari l’8 febbraio 1842 in località “Mennani” a Rughi. I genitori Pietro e Maria Domenica Ramacciotti ne curarono l’educazione religiosa con parole ed esempi.

 

Le virtù di Eufrosina

 

Fin da piccola mostrò una grande inclinazione alla pietà, al nascondimento e alla mortificazione. Imparò poi ad amare la preghiera in maniera singolare e fu tanta la maturazione spirituale e l’intimità raggiunta con Gesù che era contenta solo quando poteva stare in preghiera, meglio se in chiesa.

Andava alla messa tutte le mattine e faceva la Comunione più spesso che poteva, rimanendo poi in preghiera a lungo.

La domenica rimaneva in chiesa, genuflessa presso una colonna, dal mattino fino alla sera senza muoversi e senza prendere cibo. Alla sera dopo aver recitato il rosario con la madre e le sorelle continuava la preghiera in camera sua.

Spesso dormiva sul nudo pavimento, anche d’inverno.

Più spesso ancora si alzava durante la notte e stava in preghiera con le braccia in croce o con le mani sotto le ginocchia. Digiunava spesso e rigorosamente.

E’ normale che un’anima così bella, devota della Madonna che prese ad esempio e che chiamava “mamma mia”, coltivasse le virtù della purezza, dell’umiltà e della carità.

Va detto che Eufrosina avrebbe volentieri scelto lo stato monacale se alcune gravissime ragioni non l’avessero trattenuta.

Appena si rese conto dell’impossibilità di realizzare questo desiderio inclinò a credere che il Signore, sapientissimo, la volesse monaca in seno alla famiglia.

Il giorno della SS. Annunziata, dopo essersi confidata col suo confessore, davanti all’altare della Madonna del Rosario, fa il voto di verginità perpetua. Aveva 24 anni circa.

Amava i poveri e gli ammalati. Con grande amore li andava a trovare e portava il suo aiuto e non aveva timore di alcuna malattia. Assisteva, consigliava, esortava i moribondi.

Faceva tutto con profonda umiltà e quando qualcuno metteva in evidenza la sua bontà si scherniva e arrossendo diceva: “Buono è Quello lassù. Io non sono che una meschinissima creatura. Sarei davvero felice se fossi buona come sei tu. Oh quanti disgusti ho dato al Signore con i miei peccati, pregalo e torna a pregarlo, che me ne dia il perdono”.

Era modesta nel vestire. Aveva un abito per l’estate e uno per l’inverno e ne era contentissima. Solo la domenica, prima di andare in Chiesa era solita vestirsi un po’ meglio degli altri giorni.

Chiese ed ottenne dal Signore la grazia di vivere quanto Egli aveva vissuto. Inoltre chiese ed ottenne che la prendesse con Sé con una malattia che la consumasse a poco a poco. Tutto sopporterà in maniera mirabile, edificando quanti andavano a trovarla. Fra questi il medico curante Carlo Galgani (che la conosceva e la stimava moltissimo anche per il moti-

vo già accennato), che al Direttore Spirituale di Eufrosina rilasciò questa dichiarazione:

“Io sottoscritto medico pratico dimorante a Porcari, certifico di aver prestato la mia assistenza ad Eufrosina Ramacciotti di detto paese nella lunga e penosa malattia che l’ha condotta al sepolcro. Essa nelle moltissime visite che io le facevo, mi mostrava sempre all’evidenza di godere la pace di spirito, e soffriva volentieri e pazientemente in un modo che non è credibile quanto erasi accostumata a soffrire. Confesso con schiettezza: sono molti lustri che io mi sono dedicato al pratico servizio dell’arte salutare e in un altro infermo ho veduto così buono, così tollerante, così coraggioso e disposto ad uniformarsi alla volontà di Dio quanto la surriferita Eufrosina. Io ne restavo stupito e sorpreso e sempre più ne andavo acquistando buona estimazione".

S. Gemma Galgani, fin da piccola, sentirà ricordare le virtù dell’infermiera singolare dalla sua famiglia.

Anche la Beata Elena Guerra, fondatrice in Lucca dell’Istituto S. Zita o delle Oblate dello Spirito Santo, aveva conosciuto bene Eufrosina, nelle frequenti visite che faceva a Camigliano o nei paesi vicini, compreso Porcari. Anzi, Mons. Barsotti afferma di avere motivo per ritenere che nello scrivere il libretto dal titolo La pia contadinella si sia ispirata, appunto, ad Eufrosina.

Andò col “suo Gesù” il 27 maggio 1875 a 33 anni come aveva chiesto. Fu sepolta nel cimitero del paese che allora era situato sotto il campanile, dove attualmente si trova il monumento ai caduti.

 

Asciutta sotto l’acquazzone

 

Concludiamo il ritratto di Eufrosina, citando un fatto straordinario riportato da Mons. Giovanni Barsotti sul libretto di cui si è accennato:

“Riferirò un fatto, narratomi da moltissime persone, ma più specialmente da una di grave serietà, la quale ne fu testimone oculare.

Un giorno l’Eufrosina si trova ‘ad opra’ là in aperta campagna con un gruppo di giovanotti e di ragazze.

Mentre sono intenti al lavoro, si rannuvola il cielo, diventa nero, scoppia una tempesta; si corre in fretta sotto una capanna di paglia a ripararsi, e lì chiacchierando e scherzando si aspetta che torni il sereno.

Qualcuno dell’allegra comitiva a un certo momento esce in frizzi e libere parole. Ridono di concerto i presenti, non già Eufrosina, che li ammonisce con dolcezza e con la consueta fermezza.

Invece di rinsavire, cosa insolita, la si prende a motteggiare, a chiamarla scrupolosa, e seguitano la poca onesta conversazione condita di beffe.

Essa adagio adagio scantona come non fossero fatti suoi, si allontana, va in mezzo al campo, al suo posto primiero, sotto lo scrosciare dell’acquazzone: si inginocchia e prega.

Siccome in quel punto il campo fa grembo, la si perde di vista, e si tira avanti a burlare.

Appena cessata la bufera, si avviano di nuovo al lavoro, ma qual non è il loro stupore nell’osservare che essa è perfettamente asciutta.

Non ardiscono fiatare, poiché, li assale il rimorso misto a timore reverenziale: si accorgono di essere in compagnia di un’anima santa”.

Sappiamo che per obbedienza al confessore aveva tenuto un diario personale che però non è stato ritrovato.

Mons. Giovanni Barsotti annota, a pag. 51, nel già citato libro, che “era convinzione di tutti che dopo cent’anni sulla sepoltura della Eufrosina sarebbe spuntato un giglio fiorito".

Purtroppo il 4 febbraio 1877 cessavano le inumazioni dei cadaveri nel cimitero a settentrione del campanile dove fu inumata anche Eufrosina (Libro X dei Defunti, p.' 147).

Questo cimitero, circondato da muri, era più alto di circa due metri delle due strade con cui confinava e una parte notevole divenne, successivamente, anche più alta dei muri di cinta per la terra e il calcinaccio che vi era stato depositato. Il Comune pensò bene di sistemarlo spianando il terreno a pari delle strade. I lavori iniziarono il 2 aprile 1917 e terminarono il 17 giugno. Le ossa esumate furono collocate, finché ve ne entrò, nella tomba in mezzo alla chiesa parrocchiale e le altre nell’ossario del cimitero di Via Roma.

Così si perse ogni traccia anche di quelle di Eufrosina. Eppure ci si era preoccupati, cosa che non veniva fatta per chi era sepolto nell’area comune, di porre un segno nel luogo dove era stata sepolta, secondo quanto attesta il Barsotti: “Ai suoi funerali il paese prese parte con la devozione con cui si suole andare ad onorare un personaggio non comune, essendo convinzione d’ognuno che la verginella non fosse da annoverarsi nel numero dei morti. La sua sepoltura poco distante da quella di Carlino, nel vecchio cimitero, si volle segnata d’una pietra bianca, ch’io stesso vidi, affinché non si perdesse memoria di questo luogo benedetto”.

 

Fonti: Contenute nel testo.

Non si è tenuto conto di brevissimi appunti, anonimi e irrilevanti, su Eufrosina, rinvenuti, inspiegabilmente, nell’Archivio Parrocchiale di Saltocchio.

 

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Eufrosina Ramacciotti in una stampa dell’epoca.

 

Mons. Eugenio Nannini

Decano di S. Michele (e il fratello Francesco)

 

Il Decano di S. Michele aveva, fino al 1906, un posto particolare nella Chiesa Lucchese. “Nel palazzo decanale, congiunto alla Chiesa con un elegante cavalcavia, era fino al 1369 la residenza degli Anziani e dei Magistrati Maggiori: la Chiesa serviva per le funzioni ufficiali e anche per le grandi adunanze nei momenti più gravi della città quando suonava la campana della bella torre annessa”.

Il Papa Leone X, nel 1518, si costituì un Capitolo Collegiale, dando al Priore il titolo di Decano e concedendogli la dignità di Protonotario Apostolico con l’uso di abiti pontificali e il privilegio di benedire il popolo “more episcoporum”, (come il vescovo).

Egli aveva anche giurisdizione ordinaria sopra la Collegiata e sul proprio seminario, che fu poi fu soppresso per riunirlo a quello Arcivescovile, quando Papa Pio X, nel 1906, abolì l’ordinariato di S. Michele. Erano soggette al Decanato anche due chiese cittadine,(S. Matteo e S. Salvatore o della Misericordia) e due fuori città (Monte S. Quirico e Fognano).

Mons. Eugenio Nannini, nacque a Porcari il 17 gennaio 1830 da Luigi e Teresa Del Carlo, genitori religiosissimi, ai quali attribuì sempre grande importanza per la sua formazione.

Dopo essere stato Curato della Basilica di S.Frediano, Curato, per motivi particolari come vedremo, di Porcari, Proposto di Capannori e Rettore del Seminario Decanale - un

 

dei tre seminari della Diocesi di allora - fu Decano, appunto, di S. Michele in Foro.

Il nostro compaesano amò prima di tutto il suo sacerdozio, al quale si preparò con grande serietà e impegno. Eccelse nello studio che approfondì e aggiornò sempre, formandosi così un bagaglio culturale notevolissimo, al quale corrispose una grande cura per la virtù.

Si dedicò al suo ministero sacerdotale senza riserve, specialmente nel periodo in cui a Lucca si sviluppò il colera e lui era Curato di S. Frediano:

“Ebbene, in quell’occasione appunto il Curato Nannini, tutto coraggio, dimenticando la sua vita, andava di casa in casa lavorando - come buon soldato di Cristo - (II Tim. 2,3), ricordevole dell’ammonimento dell’Apostolo che nell’agone non è coronato se non colui, che legittimamente combatte - (Ivi 2,5); e fatto potente in Gesù Cristo, che lo confortava, senza riguardi o timori, non solo ai bisogni dell’anima, ma talvolta sopperì agli stessi bisogni del corpo, essendo i malati in quel generale sgomento abbandonati per paura dai medesimi parenti. E la generosità e l’annegazione di lui in questo fatto fu così manifesta, che Mons. Arrigoni a bella posta se lo scelse ad accompagnarlo nella visita pietosa che egli fece ai colerosi di Capannori e di Porcari. Anzi, essendo pressoché cessata la mortalità in Lucca, il Nannini rimase a Porcari a continuarvi gli uffici della sua carità” (O.F.).

Ciò che fece a Porcari gli valse “la stima e l’amore grandissimo del suo parroco e del suo collega” e quella fiducia particolare della popolazione per cui” a molti lo faceva eleggere a preferenza degli altri per la direzione dell’anima, e per l’assistenza delle loro agonie”. Fiducia che durò nel tempo, per cui molti ricorsero a lui, finché visse, per consigliarsi e confessarsi.

Dopo due anni, per obbedienza, dovette lasciare Porcari. L’Arcivescovo Arrigoni, infatti, lo aveva scelto fra un clero numeroso, per inviarlo in un paese allora difficilissimo per le

 

divisioni che lo laceravano. Era morto a Capannori il Proposto Favilla e il Nannini fu nominato successore, nonostante pregasse e insistesse anche per interposta persona di non gravarlo di quel compito. Dovette arrendersi alla volontà del superiore nel quale vedeva la volontà di Dio.

A Capannori non risparmiò energie, “la presenza del novello Timoteo estinse tosto tutti i partiti, la sua parola vinse ogni cuore, la sua modestia guadagnò anche i più ritrosi, la sua mansuetudine raffrenò anche i protervi, la sua autorità piegò ogni collo al giogo dell’obbedienza, e il paese di Capannori acquistò concordia pace, tranquillità...” (O.F.).

Alla morte del Canonico Pellicciaia, Rettore del Seminario Decanale, Mons. Dinelli, Decano di S. Michele, che l’ebbe studente di teologia, pensò a lui per affidargli il delicato incarico.

Interessantissimo sarebbe riportare per intero ciò che scrive nell’Orazione Funebre sull’operato del Nannini come Rettore, il Can. Domenico Fanucchi, anch’egli porcarese e futuro Vescovo. Ne riproduciamo solo un passo:

“Convinto al sommo della massima di S. Francesco di Sales: - colla dolcezza formarsi i virtuosi, colla durezza gl’ipocriti -, mortificava sibbene i giovani tanto, che bastasse a tenerli umili e disciplinati, ma poi li coltivava colla pazienza e colla mansuetudine di Gesù Cristo, sapendo con singolare prudenza moderarsi in guisa, che né il miele della dolcezza mai mancasse, né lo stesso miele mai diventasse fiele e veleno, come dice lo Spirito Santo che anche del miele - tu ne mangi tanto che a te basti, affinché se te ne empissi, non l’abbi poi a vomitare” (Prov. 25,16).

Come S. Agostino faceva dell’umiltà la sua prima virtù e la consigliava in continuazione, tanto che quasi tutti gli incontri a carattere spirituale che egli teneva, se non erano incentrati sull’umiltà, ad essa si riferivano. Lo vedremo anche nelle lettere che scrisse alla Beata Elena Guerra.

Amava poi parlare più dei doveri che dei diritti.

 

Fu un predicatore di larga fama in tutta la diocesi. I parroci erano felicissimi di averlo nelle loro chiese specialmente nelle Missioni o nei Quaresimali.

Aveva un amore straordinario per l’Eucarestia ed era preoccupato per la freddezza del popolo cristiano e del poco zelo dei sacerdoti nel farla conoscere. Già ammalato, “... Un giorno che passava sotto alle finestre della sua stanza la processione che portava il santissimo Viatico ad un infermo, essendo egli al suo solito tutto intenerito in adorare Gesù Cristo, tutto in un tratto si sentì liquefare il cuore, e diede in un dirottissimo pianto, che sì forte lo agitò da non potersene acchetare. Dimandato perché tanto piangesse, fece intendere che lo avevano colpito lo consuete voci del popolo sbadato, che non aveva venerato, come si deve, il divin Sacramento, ed esclamò seguitando a piangere: Piango perché Dio non è conosciuto neppure da noi sacerdoti, che altrimenti avremmo più zelo per farlo conoscere agli altri...” (O.F.).

Nel settembre del 1875, con soddisfazione di tutti, Pio IX nominò Decano di San Michele il nostro compaesano. Lui, non sentendosene degno rinunciò. E perché la sua rinuncia avesse più probabilità di essere accolta, mandò il fratello Francesco, anch’egli sacerdote, “a prostrarsi ai piedi del sommo Pontefice”. Pio IX rimase fermo nella sua decisione e per consolarlo gli mandò la sua benedizione.

Anche in questo compito il Nannini trasfuse tutto il suo impegno e le sue doti. Il gravoso incarico non lo tolse né dal confessionale, a cui lo obbligava solo il suo zelo, né da altri impegni a cui si sentiva di dover adempiere. Anzi, il 16 luglio 1875 Mons. Ghilardi lo nomina Censore ecclesiastico per la stampa e il 10 giugno 1879, con la fiducia degli esponenti del laicato cattolico lucchese, l’Arcivescovo lo fece nominare anche Assistente ecclesiastico del Comitato Diocesano per l’Opera dei Congressi cattolici.

Verso il maggio del 1885 si cominciarono a manifestare i sintomi della malattia che l’avrebbe portato alla Casa del Pa-

 

dre. E mentre tutti pregavano per la sua guarigione, egli si rivolgeva così al Can. Fanucchi: “Se mi fosse concesso, chiederei la grazia di morire; chiedo la sanità, perché m’è imposto per obbedienza; ma ormai non sento più verun attacco al mondo”.

Il 14 agosto, vigilia dell’Assunta, “tra le undici e mezzanotte, se ne volava ad incominciare la festa di Maria in Paradiso”. Era il 1886.

 

Mons. Nannini protettore della Beata Elena Guerra

 

Ci dice don Pirro Soavizzi nel suo libro sulla Beata Elena Guerra, Ignis Ardens: “Mons. Eugenio Nannini, uomo di alto ingegno e di profonda pietà, che godeva la stima dell’Arcivescovo Arrigoni, del clero e del popolo, era Decano di S. Michele quando Elena Guerra iniziò l’umile opera di cui andiamo parlando”.

Il grosso merito del nostro compaesano fu quello di rendersi conto della grande personalità di Elena Guerra, apprezzarne la profonda spiritualità e le intuizioni profetiche. Conosceva bene la famiglia di lei, soprattutto il fratello don Almerico e nonostante Elena incontrasse difficoltà di ogni genere, circondata com’era da moltissime diffidenze, si propose di aiutarla e difenderla.

L’intervento del nostro Decano, che Elena considerò un segno della benedizione di Dio, le dette nuovo vigore e aprì definitivamente la via alle sue realizzazioni.

Mons. Nannini assunse, nel nome del Signore, la tutela dell’opera e la prese così a cuore che Elena e le sue consorelle lo chiamavano “il Padre” e anche “il nostro buon Padre”.

Va detto anche che con tutta probabilità il Nannini fu insegnante di religione di S. Gemma Galgani quando questa frequentava la Scuola delle “Zitine”.

Elena Guerra e le sue prime compagne, fin dall’inizio,

proclamarono loro patrona in cielo S. Zita e per questo furo no chiamate “Zitine”.

 

Grandezza dell’umiltà

 

Quando Mons. Nannini entrò in contatto con Elena Guerra, questa non solo aveva bisogno di essere aiutata e incoraggiata nel portare avanti la nuova Congregazione che stava sorgendo ma anche di avere, lei stessa e le consorelle, chiarezza di impostazione dal punto di vista spirituale e quindi sulle virtù a cui nella congregazione si doveva maggiormente puntare.

Lui avverte queste necessità e leggete cosa scrive quando vuol parlare alla futura Beata della grandezza dell’umiltà:

“Essere veramente umili perché, allora sarete veramente obbedienti, distaccate da tutto e piene di carità verso Dio e verso il prossimo, cioè sante. E’ naturale; si, l’umiltà è il fondamento di tutte le virtù, siccome senza l’umiltà non può l’anima avere nessuna virtù vera, così con l’umiltà si hanno tutte le virtù. Ho, mia buona figliola, quanto ci è necessaria questa virtù e quanto siamo lontani dal possederla!

Figliola mia! Lavori a piantare l’umiltà nella congregazione altrimenti Dio scardinerà la pianta! E siccome l’umiltà non regna dove non regna Gesù Cristo, così ripeta sempre e faccia che restino scolpite nel cuore di tutti le sante massime di Gesù Cristo, le quali debbono essere la regola continua di tutto l’operare interno ed esterno.

Questa vita di fede le giovani debbono vederla nelle anziane, non nelle parole, ma nelle opere e in tutte le opere”.

Quello di Mons. Nannini, come possiamo constatare, era un parlare chiaro, senza mezzi termini e senza tergiversazioni anche se lo faceva con amore di padre.

Ritorna chiara la spiritualità dell’essenziale che ritroviamo in altre figure porcaresi.

Un’attenta riflessione sullo scritto che abbiamo riportato mette in risalto, soprattutto nell’ultima parte, l’importanza di testimoniare la vita di fede da parte degli adulti “non nelle parola, ma nelle opere e in tutte le opere".

In una comunità cristiana la testimonianza di una vita vissuta seriamente al servizio del Vangelo è essenziale. Sarà bene che gli adulti cristiani ci riflettano seriamente.

Elena aveva trovato in Mons. Nannini un padre, un protettore ma anche una guida illuminata, alla quale ricorreva per avere consiglio nei momenti decisivi.

E’ così, quando Elena, probabilmente troppo soggetta ai propri genitori ma anche perché la vecchia mamma Faustina era gravemente inferma, non sa decidersi a distaccarsi definitivamente da loro, supplica il Decano “di darle un categorico comando, che ella - qualunque fosse - avrebbe immediatamente eseguito. ” (Ignis Ardens).

Mons. Nannini in data 14 ottobre 1873, le risponde imponendole di scrivere le regole della Comunità, ma di non lasciare ancora la famiglia.

Credo meriti riportare almeno una parte della lettera, che è interessantissima per capire la personalità e la spiritualità del nostro compaesano:

“...ebbene io le rinnovo l’ordine di scrivere, dopo il tri duo, le Regole che si devono osservare da qui innanzi da lei c dalle sue sorelle, e di scriverle proprio come il Signore gliele ispira, senza omettere nulla di quanto le parrà utile, nel Signore, alla santa opera. E perché non abbia a tergiversare colle solite industrie, è mia intenzione che le Regole abbracci - no tutto, la vita interiore e la vita esteriore, e che non limiti punto le medesime a ciò che scrivo io, ma le estenda a tutto quello che le verrà in mente, come utile. Abbia poi di mira il culto di Gesù Sacramentato per mezzo della scuola. Ma dove il Signore le ispiri altro, vada per quella via; ingomma nessuna restrizione mentale, nessuna industria, nes suna omissione... ”.

 

Successivamente, assestatesi le cose, anche in famiglia, la Guerra otterrà il permesso di abbandonare la casa paterna.

 

Grandezza della disponibilità

 

Per incontrare Dio occorre conoscere Gesù, entrarci in confidenza, lasciarsi entusiasmare dalla sua parola, lasciare che essa permei e penetri la nostra vita. Per essere accolta, la parola di Gesù esige un atteggiamento di disponibilità. Lo sanno bene questo coloro che, messo Gesù al centro della loro vita, cercano di conformarla in tutto e per tutto al Vangelo.

Conformare la propria vita alla parola di Gesù con una disponibilità eroica, fu l’aspirazione costante anche della Beata Elena Guerra.

Chi la incoraggiò e l’aiutò a capire l’importanza di essere docili e disponibili ai progetti del Signore, fu ancora il nostro Decano. Sentiamo allora cosa dice alla Beata, su questo argomento, in una delle tante lettere che le scrisse:

"... Del resto, mia buona figliola, bisogna assuefarsi a servire il Signore dove Egli vuole. Lei ha questa volontà ben radicata nel cuore, io lo so, ed è risoluta di farlo a qualsivoglia costo. Or che importa che l’eseguire questa volontà costi un po’ di pena? I primi sacrifici riescono sempre preziosi e lei certo ha dovuto soffrire. Ma intanto, grazie a Dio, si trova ad aver fatto un passo che le pareva impossibile e questo le renderà facili quelli che il Signore vorrà in seguito da lei”.

 

Fiducia nel Signore

 

E il Nannini continua: “Intanto il Signore vuole che lei getti in Lui solo tutta la sua fiducia, che non diffidi mai, mai, della bontà di Lui, il quale ha promesso di aiutare chiunque

 

in Lui confida e prega.

Ella dice di non essere stata mai quale si trova al presente. Ma è questo che mi fa sperare bene, poiché, è proprio del Signore il gettare a terra quelli che poi vuol dirigere da Sé. Non fece così anche con S. Paolo? Prima lo prostrò fin nella polvere e lo accecò alla sapienza del mondo per poi rialzarlo più forte ed aprirgli gli occhi ad una sapienza tutta celeste.

E sa perché, fa così il Signore? Per farci sentire che tutto è suo e che senza di Lui nulla possiamo; ci vuole umili e confidenti in Lui solo, ecco tutto. E lei sia umile di cuore e piena di fiducia nel Signore, con la grazia del quale si vince tutto”.

 

Concretezza

 

Una esposizione semplice e chiara, quella di Mons. Nannini, che mette però in evidenza come la grandezza della fede e l’approfondimento del Vangelo erano penetrate nel suo animo e nel suo cuore non solo come pura e semplice conoscenza ma soprattutto come esperienza di vita.

Il contenuto di questa lettera meriterebbe di essere meditato con attenzione, in silenzio e senza fretta. Oltre alla ricchezza spirituale che ne deriverebbe, ci renderemmo anche conto che la fede di allora non era solo un fatto di tradizione, ma incideva concretamente nel modo di essere e di vivere.

Questa corrispondenza dimostra chiaramente che Gesù era diventato un amico intimo e che, quindi, Elena e sue sorelle lo conoscevano molto bene e intuivano i progetti che aveva su di loro.

E non è poca cosa!

 

Accanto a Mons. Eugenio Nannini, spicca anche la gura del fratello Francesco, nato a Porcari il 20 agosto 184«» che fu Rettore del Seminario Arcivescovile di Lucca e Canonico Arciprete della Cattedrale.

 

Morì il 2 febbraio 1924.

Fu uomo di grande sensibilità, preoccupato per i pericoli che allora stava correndo la Chiesa.

L’azione della Massoneria si era fatta più stringente rivolta specialmente a trasformare la scuola in senso ateo e materialista.

Dal 27 al 30 settembre 1896 si tenne a Trento il Congresso antimassonico e fu proprio il nostro Mons. Francesco che vi partecipò con una sua relazione in sintonia col pensiero di Elena Guerra.

 

Fonti: Archivio Arcivescovile. Archivio Parrocchiale.

Don Soavizzi, Ignis Ardens, Roma 1965, Tip. Italo Or. S. Nilo, Badia Greca di Grottaferrata.

Archivio Oblate dello Spirito Santo - Suore Zitine, Corrispondenza fra il Nannini e la Guerra.

Can. Domenico Fanucchi, Orazione Funebre,Tip. Arciv. S. Paolino, Lucca, 1886.

 

Dott. Carlo Galgani

Medico condotto a Porcari

 

Appare fra i “personaggi” vissuti nella parrocchia di Porcari che meritano di essere ricordati, non tanto perché fu nonno di Gemma Galgani, ma perché fu uomo di grandi qualità cristiane, umane e professionali che mise al servizio della gente senza risparmio d’energie. Erano tempi in cui i medici, quando se ne trovavano, e particolarmente quelli di condotta, dovevano fare ogni genere di interventi: non esistevano, infatti, i “pronto soccorso”, né le “guardie mediche”. A volte le cure i malati se le dovevano “inventare”.

Il Dott. Galgani che svolse la propria professione in una condotta che, oltre Porcari, comprendeva anche S. Martino in Colle e Badia Pozzeveri, con territori paludosi in conseguenza delle acque stagnanti ai margini del lago di Bientina o Sesto, infestato dall’anofele della malaria, si trovò a curare e combattere contro le febbri malariche assai diffuse.

L’essere medico condotto e il lavoro quotidiano che comportava tale ufficio in un territorio così vasto, senza mezzi di trasporto che non fossero barrocci o calessi, non gli impedì l’aggiornamento e la ricerca per contribuire a risolvere i problemi medici che si presentavano nella sua zona. Così, nel 1838 fece stampare l’opuscolo Annotazioni pratiche sull’azione del solfato di chinina e del solfato di ferro, Tip. Giusti, Lucca 1838, in riferimento alla cura delle febbri malariche.

L’opuscolo è presentato dal prof. Giacomo Franceschi, già suo maestro di anatomia e fisiologia nel Reai Collegio di Lucca, il quale nel leggere il manoscritto aveva scritto al caro

 

discepolo: “Ella prosegua la sua nobile e spregiudicata carriera, si rida dei meschini attacchi dell’invidia, e sia pur certo che avrà sempre il vanto di mostrare al mondo che anche senza peregrine dovizie si può, nella modesta clinica lucchese, divenire dotti e utilissimi medici”.

Nel 1854 un’epidemia di colera mieteva vittime in tutta la Toscana e quindi anche in Lucchesia ma specialmente a Porcari, dove forse raggiunse l’apice nel 1855. Il dott. Galgani o meglio il “medio “, come familiarmente lo chiamavano i porcaresi, scrisse il libretto Della Regola di vita da praticarsi, dominando malattie contagiose, tip. A. Bertini, Lucca 1854, e ne curò la distribuzione alla popolazione.

Profondamente religioso e di grande dirittura morale, volle mettere per scritto le sue idee, i valori in cui credeva. Ecco, allora, che nascono degli opuscoli i cui titoli già rendono bene l’idea del contenuto: Ai propri figli - Questi morali precetti, Tip. Rocchi e figli, Lucca 1849. Sono in tutto

23. Ne riportiamo l’indice: La religione; L’amore della Patria; L’uso del tempo; La Prudenza; La correzione; L’economia di famiglia; Il buon nome; H consiglio; Il rispetto all’altrui proprietà; L’amicizia; Il parlare poco; L’amore pei dotti; Il proceder bene; La vita sociale; La carità del prossimo; Gli onori e le dignità; La bugia; L’ozio; La maldicenza; La temeraria erudizione; L’adulazione; Le passioni; Il sepolcro.

 

Avvertimenti morali pei giovinetti della scuola comunale di Porcari,

Tip. Torcigliarli, Lucca, 1869.

Anche di questo riportiamo l’indice: Dell’amore e del rispetto dei genitori Dell’obbedienza ai genitori

Del soccorso ai genitori ne’ bisogni temporali Del soccorso ai genitori ne’ bisogni spirituali Della morte dei genitori

Dell’allettativo e dell’incitamento ad operare Del fratello e della sorella

 

Della scuola

Del ritorno a casa Degli ecclesiastici

Della bestemmia contro Dio

Della bestemmia contro la Madonna

 

Nel trattare i temi dei suo libretti, si vede benissimo che il Galgani tiene conto dei mali del tempo. Così per il tema sugli ecclesiastici, evidentemente in risposta all’anticlericalismo settario e giacobino che caratterizza quei tempi. L’opuscolo uscì tre anni dopo che erano stati soppressi gli Ordini religiosi e si erano incamerati i beni ecclesiastici. Lo stesso per la bestemmia, una delle piaghe più vergognose della Toscana. Su questo tema - e precisamente in riparazione alla bestemmia contro Dio e contro la Madonna - compone alcuni versi, invitando i ragazzi a impararli a mente e recitarli, dentro di loro, allorché sentono bestemmiare:

 

O eterno Iddio Che sei sì buono Dà tu il perdono Al peccatori

 

Fa che si emendi Ed atterrito, Tutto contrito Ti mostri il cor!

 

O più pura che candido giglio E più bella che sole, Maria,

Te Gesù Nazareno per mia Madre in croce morendo lasciò.

 

O gran donna, delizia del mondo, Dolce albergo di pace infinita,

La dolcezza, la speme, la vita Chi t’invoca in Te sempre trovò

 

Di Te dunque son figlio ? nel mondo Di che cosa temere poss’io ?

Ah! tei giuro, l’afflitto cuor mio Arde tutto d’amore per Te!

 

Ai tuoi piedi, deh! lascia mi prostri Tiglio ingrato di falli ripieno Ah! soltanto uno sguardo Tu almeno Un pensiero sol volgi Tu a me!

 

Allorquando nel regno celeste Cogli Arcangeli insieme al gran Dio Tu favelli, deh! digli che anch’io Ora piango confuso |errori

 

Non fia vero che io venga giammai Dal materno tuo sguardo diviso,

Tu rispondi con dolce sorriso Alla prece che t’offre il mio cor

 

Scrisse anche altre cose, soprattutto sull’ “Araldo della pragmatologia cattolica”.

La sua vita fu attraversata, fin da giovane, da lutti, angoscie e delusioni.

 

Vide crescere i suoi figli, amati più di se stesso, dei quali solo Carolina non gli creò motivi di apprensione.

Il suo amore si riversò poi sui nipoti, il primo dei quali porta il suo nome, Carlo, che amò teneramente ed abitò nella sua casa di Porcari, ma che a quasi sette anni vi morì. E’ il 28 maggio 1875: "... In questo giorno palpitò di nuovo vie più il mio cuore, vacillò la mia mente, scorsero di nuovo dagli occhi miei più amare le lacrime, che tosto inaridirono. Per isfogarmi in pianto, troppo grande era il mio dolore. E tutto questo perché il mio dilettissimo nipote Carlino esalava l’ultimo respiro, lasciando lo spento volto ancor atteggiato di una soave dolcezza, traccia sicura dell’anima innocente che fuggiva.E sullo spento e freddo volto io imprimeva un bacio, gettando un grido. Era talmente confuso che morto noi credeva, ché chi ama è sempre facile a lusingarsi. Ma egli era estinto. Avrei mille volte voluto morir io, anziché esso mi fosse rapito” (I due giorni più dolorosi della mia vita - citati in La Povera Gemma).

“Non avrei creduto mai di sopravvivere ad un nipotino, di cui ero innamorato e dell’amore il più forte, il più tenace. Lo amavo più che me stesso e per l’amor grande ch’egli pure mi aveva rivolto, per la sua bontà, per la sua obbedienza, pel suo garbo, e per l’attitudine e la facilità che dimostrava ad imparare...

O mio Carlino, se io mi trovo punto dal più acuto dolore, sepolto nella più cupa malinconia, tu però sei in festa, tu giubili di allegrezza, poiché hai raggiunto la pienezza dell’eterna felicità, ed hai tolto il piede da questo mondo.

O mio Carlino, ora che tu vedi e godi Dio in se stesso, e sei ammesso alla gloria del tuo Creatore, pregalo che consoli i tuoi genitori...

O mio Carlino, prega di poi Iddio, che tutti abbiano il cuore penetrato dai veri sentimenti religiosi...Prega anche per me...ottienimi da Dio...la grazia di riabbracciarti per sempre negli splendori del paradiso”.

 

Infermiera di Carlino era stata la nostra Eufrosina Ra- macciotti che lo aveva assistito amorevolmente e che poi, caduta inferma, lo precedette in cielo di appena un giorno.

Il 7 febbraio 1881 gli muore la moglie Margherita. Il dott. Carlo non si lascia abbattere e nonostante fosse a riposo - gli era succeduto nella condotta il figlio Maurizio - continuò a lavorare per la Chiesa e per il bene della Nazione, ottenendo che anche a Porcari fosse fondata una sezione dell’Opera dei Congressi, di cui fu il primo e più illuminato presidente.

Carlo Galgani nacque a Cerreto di Sopra, paesetto situato a pochi chilometri da Borgo a Mozzano, il 29 maggio 1806 da Galgano Galgani, medico condotto di Borgo a Mozzano.

Studiò a Lucca nel Reai Collegio e si laureò nel 1832.

Il 10 giugno del 1833 celebra le sue nozze con Margherita Orsini e nel 1834 si stabilisce a Porcari, dove aveva ottenuto la condotta e dove fece costruire la bella casa in località Rughi. Fu qui che nacque il 26 luglio 1842 il figlio Enrico, padre di Gemma, laureato in clinica farmaceutica e farmacista a Borgo Nuovo, penultimo figliò di Carlo.

Ebbe cinque figli ed otto nipoti e morì il 4 giugno 1888 nella casa di Rughi in Porcari. Fu sepolto nel cimitero comunale, dove già si trovava l’amata consorte.

Alla sua morte la nipotina Gemma, che passava lunghi periodi dal nonno a Rughi, aveva dieci anni.

 

Fonti: Archivio Parrocchiale

Abbiamo attinto a piene mani da: Padre Enrico Zoffoli, La Povera Gemma - Saggi critici storico teologici, seconda edizione, Edizioni II Crocifìsso, Scala Santa, Roma; G. Barsotti, Una santa lucchese - Gemma Galgani, Libreria Editrice Baroni, Lucca.

 

Per approfondire: Gli scritti del Galgani: Annotazioni pratiche sull'azione del solfato di chinina..., Tip. Giusti, Lucca, 1838; Precetti morali, Tip. Rocchi e figli, Lucca 1849; “Quattro lezioni ai giovinetti” pubbl. sull’Araldo della pragmatologia catt., nn. 290, 299, 302, 307 del 1852; “Sulla lentezza che alcuni medici usano...” sull’Araldo della prag. Catt. n.

314 del 1852; “Su concetto degli uomini dotati di spirito forte... ” sull’Araldo n. 331 del 1853; “Lettera al sig.Direttore dell’Araldo” sull’Araldo n. 338 del 1853; “Intorno alla buona e saggia educazione dei figli ai padri e madri fi famiglia” sull’Araldo nn. 347,376 del 1853; “I claustrali”, sull’Araldo, nn. 375,376, 378 del 1853; “Alcuni precetti salutari, diretti ai RR. Parrochi... ”, sull’Araldo n. 34 del 1854; Della regola di vita da praticarsi, dominando malattie contagiose, Tip. A. Bertini, Lucca, 1854; “Un bell’esempio di virtù cristiana” sull’Araldo, n. 1, del 1856; “Cenno necrologico o Contrassegno di amore” sull’Araldo n. 1 del 1857; Avvertimenti morali pei giovinetti..., Tip. Torcigliani, Lucca, 1869; I due giorni più dolorosi della mia vita, senza luogo né data di stampa; G. Della Nina, Porcari nel XIX secolo, Matteoni Stampatore, Comune di Porcari.

Inoltre, quanto è citato nelle Fonti.

 

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Casa Galgani come si presentava all’epoca in cui vi abitò il medico.

 

Canonico Andrea Del Prete

 

Il Canonico Andrea Del Prete nacque a Porcari il 30 maggio 1768 e fu Vicario Generale dell’Arcivescovo Stefanelli.

Dalle notizie in nostro possesso risultano chiaramente le sue eccezionali intuizioni e la sua dinamicità.

documenti ci dicono che, uomo “erudito e piissimo”, lavorò indefessamente a restaurare la Chiesa lucchese dopo le devastazioni operate dai governi dei napoleonici Elisa e Felice Baciocchi.

Dietro sua ispirazione e premura, la Barbantini nel 1824 impiantò in Lucca da Pinerolo il monastero della visitazione e istituì le suore di S. Camillo.

Morì il 22 settembre 1846 con grande pena della famiglia visitandina, della quale l’Arcivescovo Sardi l’aveva designato a confessore. E’ riportato negli annali che quella pia comunità non muoveva un passo senza il suo consiglio.

suo corpo riposa in una tomba terragna al centro della cappella esterna delle Salesiane o “visitandine” a Lucca in via Elisa.

Sulla lapide vi è un’iscrizione che è importante riportare: sia perché ci dà l’idea della personalità e della spiritualità del Canonico, sia perché se non rimossa e meglio sistemata finirà presto per essere cancellata. La riportiamo quasi per intero:

“Qui giace nella pace di Cristo, Andrea Del Prete, canonico della Basilica di S.Martino; fu ricco in pietà e cultura, poi insegnò Teologia Morale, diligente nel ricevere le confessioni, ricondusse molti, nella somma malvagità dei tempi alla

 

via della salvezza. Governò l’amministrazione della Chiesa di Lucca come Vicario Generale del Vescovo Stefanelli, curò con zelo la congregazione di sacerdoti fondata da S. Vincenzo de’ Paoli, si preoccupò saggiamente che le sacre vergini non perdessero le loro abitazioni a causa del pericolo dell’Auser, fondò una associazione benefica di donne che prese il nome di S. Giovacchino, incoraggiò con l’esortazione e rese operanti le pie sorelle al servizio delle donne ammalate, infine, dopo aver compiuto così tante cose meritevoli, si accostò ad una morte conforme alla vita nell’anno 1846 all’età di 78 anni. Gli amici afflitti posero questo marmo all’uomo virtuoso e pietissimo, con la dovuta epigrafe della sua • » vita .

Nella suddetta Cappella, posto a sinistra della porta d’ingresso, si può ancora oggi ammirare una tela, probabilmente del sec. XVII che rappresenta la Sacra Famiglia, dono del nostro Canonico alla Comunità delle claustrali.

 

Intuizioni e opere

 

L’opera del Del Prete risulta di notevole portata anche perché non si limita ad espletare bene gli incarichi che di volta in volta la Chiesa lucchese gli affida, ma, conoscitore profondo delle necessità dei tempi, volle trovare, nei limiti del possibile, rimedi adeguati. Volle prima di tutto essere un vero uomo di Dio e della sua Chiesa.

Non a caso è ricordato per il modo con cui riceveva le confessioni. Credo che questa non sia una cosa da sottovalutare, anzi!

La confessione è il momento dell’incontro dell’uomo con l’amore misericordioso di un Dio che vuole essere prima di tutto un Padre buono e il sacerdote è colui che fa sentire, che rende visibile questo amore anche col mettersi à disposizione completa della gente senza lesinare tempo, soprattutto in

 

un momento così delicato ed importante.

Il nostro Vicario, poi, curò particolarmente le vocazioni. E qui troviamo quell’ansia e quella caratteristica che se non fu esclusiva della spiritualità porcarese, certamente in Porcari trovò una tensione e un’animazione eccezionali.

A quel tempo la fame era uno dei problemi più gravi; l’assistenza agli ammalati non era così progredita e accurata come oggi. Fondò quindi un’associazione a carattere benefico e un gruppo per l’assistenza agli ammalati.

Fu certamente una figura notevole, se in alcune famiglie di Porcari se ne ricordano ancora le capacità e le opere.

E infine, a titolo di curiosità, va detto che probabilmente era parente del trasvolatore Carlo Del Prete.

A Porcari, infatti, esistono famiglie con discendenza diretta del famoso aviatore e che ricordano ancora come i loro nonni parlavano del Canonico di famiglia.

 

Fonti: Archivio Parrocchiale.

P. Lazzarini, La Visitazione di S. Maria di Lucca, Tip. S.Marco, Lucca 1976.

Per approfondire: Archivio Monastero della Visitazione, Via Elisa, Lucca. Archivio Arcivescovile.

Archivio Parrocchiale.

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Tela raffigurante la Sacra Famiglia (forse del XVH secolo), dono del Can. Andrea Del Prete al Monastero della Visitazione di Lucca.

 

Paganeilo da Porcari

Vescovo di Lucca dal 1274 al 1300

 

Su di lui si trova scritto nell’archivio parrocchiale dal proposto Marraccini: “Capo di questi (dei sacerdoti porcaresi) e Tomamente più bello del paese di Porcari è certamente il Vescovo Paganeilo della potente famiglia dei Porcaresi, che resse la Chiesa lucchese con molto zelo e dottrina lasciando nella storia dei nostri vescovi una fama imperitura”.

Paganeilo da Porcari resse la Chiesa lucchese dall’agosto del 1274 al 9 febbraio 1300, data della sua morte.

Non si conosce con esattezza la sua data di nascita.

Conobbe e stimò S. Zita (+ 27 aprile 1278). Fu spettatore dei suoi miracoli e ne riconobbe le virtù eroiche consentendone il culto che fu poi confermato dal pontefice Leone X.

“I tempi erano tristi e condizionati, specialmente in Lucca, da lotte politiche e sociali e dalla situazione di disordine anche morale, che inquinava i rapporti sociali. Fioriva nonostante tutto, la vita cristiana, sia nella classe dei mercanti che in quella degli artigiani e dei piccoli commercianti, ma soprattutto fra i ceti più umili ed emarginati, da cui uscirono figure ricche di intensa spiritualità che, come Zita fiorirono negli anni del vescovo porcarese” (M. Seghieri, Porcari e i Nobili porcaresi).

In quell’epoca la diocesi di Lucca si estendeva da S. Miniato fino alla Lunigiana e comprendeva un gran numero di piccoli e grandi feudi e abbazie che cercavano di imporsi sul vescovado ricercandone l’autonomia.

A livello civile poi sono continue lotte con i vicini pisani.

 

Lucca vede la nemica Pisa indebolirsi momentaneamente dopo la battaglia della Meloria (1284) per poi riprendere il sopravvento con la vittoria dell’Arcivescovo Ruggeri sul Conte Ugolino della Gherardesca, guelfo come Lucca.

Le guerre tra Lucca e Pisa recavano danni anche a livello spirituale.

I Consoli del Comune si intromettevano nelle cose della Chiesa.

“Sono gli anni, poi, in cui si succedono le tesi sul potere del Papa e Tolomeo da Lucca, discepolo di S. Tommaso elabora la sua teoria, secondo la quale ogni autorità è da riportarsi ad un’unica fonte: al potere spirituale. Di queste teorie si fanno scudo i pontefici di questo periodo: Gregorio IX, Nicolò IV e dopo la breve parentesi di Celestino V, papa suo malgrado, Bonifacio Vili”.

E’ in questa situazione che Paganello si trova a governare la sua diocesi. Ed è in questa situazione che cercò di rimanere indipendente ed estraneo dal guadagno del potere e delle lotte politiche. In tutte queste controversie e lotte, infatti, mai si trova compromesso il suo nome.

“Fu invece- annota ancora il Seghieri - un vescovo assai sensibile ai problemi religiosi e culturali del suo tempo, rispetto ai quali si richiedeva una attenta vigilanza perché non deviassero dall’ortodossia..

.fu indubbiamente uomo di grande valore e prestigio, teologo di profonda dottrina.

“Riuscì, con energico gesto, ad imporre anche ai Consoli la saggezza del suo governo” (Mons. Barsotti, Lucca Sacra).

Alla fine XIII secolo, come rileva ancora il Barsotti, “la nostra Chiesa gareggiava con le migliori d’Italia”, anche per merito del nostro vescovo, e aveva visto una fioritura di sante donne: Zita, alla quale abbiamo già accennato; Oringa o Cristiana che a S. Croce sull’Arno, allora diocesi di Lucca, gettava le basi di una riforma claustrale; la beata Giacoma (Iacopa) da Lucca.

Il vescovo Paganello, si preoccupò dei sacerdoti e dei re-

 

ligiosi curando anche personalmente l’evolversi delle vocazioni. Fu attento ai bisogni delle classi meno abbienti e diseredate e ne curò particolarmente i bisogni. Fu infatti sotto il suo governo - come riporta il Seghieri - che prese avvio, verso il 1290 - la Compagnia della Croce (Societas fraternitatis fratrum Sancte Crucis lucane civitatis), una istituzione laicale con finalità assistenziali a vantaggio dei poveri, dei carcerati, dei pellegrini, dei malati, delle vedove e degli orfani, assai attiva in particolare nell’ambito dell’Ospedale della Misericordia, o di San Luca, fondato in Lucca dalla Corte dei Mercanti intorno al 1260.

Con una lettera ai fedeli della diocesi, il vescovo porcarese, ne metteva in risalto i meriti e comunicava di aver concesso indulgenze agli appartenenti.

Paganello da Porcari merita, “per le sue doti veramente singolari e per l’attività svolta di esser detto il più illustre tra i vescovi di Lucca del secolo XIII” (M. Giusti, Le elezioni dei vescovi,; M. Seghieri, op. cit.).

 

Fonti: Citate nel testo

Per approfondire: Archivio Arcivescovile. Archivio Parrocchiale.

M. Seghieri, Porcari e i nobili porcaresi, Comune di Porcari, Matteoni Stampatore, Porcari - Lucca 1985. M. Barsotti, Lucca Sacra.

 

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Paganello da Porcari, Salone dell’Arcivescovado, Lucca.

 

Istituti religiosi presenti nella parrocchia

 

Nella parrocchia sono presenti ed operano anche tre Istituti religiosi che meritano la nostra attenzione e dei quali è doveroso parlare, per quanto hanno fatto e fanno.

Non ci fermeremo su figure particolari ritenendo che sia più significativo parlare del perché sono proprio a Porcari e di ciò che ha significato per i porcaresi questa presenza.

 

Pia Società del Santo Nome di Dio Suore del S. Nome

 

E’ sempre importante e stimolante rendersi conto del tipo di spiritualità e delle motivazioni che hanno dato origine ad un Istituto o ad un Ordine religioso.

Cercare queste cose, nel caso delle Figlie del Santo Nome di Dio, significa molto di più per noi di Porcari perché le vocazioni originarie furono proprio porcaresi.

Vuol dire, infatti, affondare le radici in un passato che vedeva fiorire nella comunità parrocchiale, un tipo di spiritualità già ben consolidata almeno dal 1800.

Sue caratteristiche essenziali la preghiera, l’umiltà e il servizio. Al centro vi era l’Eucarestia e poi una grande devozione alla Vergine.

Questa sensibilità religiosa costruiva anime prontissime ai lavori più umili, ma disponibili a cose di maggior impegno se la necessità o l’obbedienza l’avessero richiesto.

Alcune rimanevano laiche, altre facevano voti particolari pur continuando a stare in famiglia ed altre ancora prendevano la via del convento. E’ il tipo di spiritualità che troviamo in quella figura esemplare che fu Eufrosina Ramacciotti.

Ebbene, questo tipo di spiritualità, certo non esclusiva del nostro paese ma qui fortemente radicata e praticata, è ancora presente: a maggior ragione lo era nel 1928 quando tre signorine di Porcari, due giovani e una anziana, si misero a disposizione dei Padri Cavanis per rendersi loro utili. Erano Angelina Della Maggiora, Adilia Toschi e Annunziata Del Carlo.

Le tre donne erano stimolate e seguite dal loro direttore spirituale, il Padre Agostino Zamattio dei Cavanis.

Successivamente, siccome il gruppo delle pie donne andava aumentando, si cominciò a studiare la possibilità di costituire una Congregazione.

Così, nel 1933, si costituì e prese l’avvio quella che ora è diventata la Pia Società del Santo Nome di Dio.

Nel 1964 venne avanzata la richiesta di trasformare l’Istituto Secolare in Società di Vita Comune con i voti di povertà, castità e obbedienza. Il nulla-osta venne concesso dalla Sacra Congregazione dei religiosi il 6 ottobre 1967. Il 2 gennaio 1968 Mons. Enrico Bartoletti procedette alla nuova erezione.

L’Istituto intende svolgere la propria attività a favore della gioventù femminile, specialmente povera e abbandonata. Accetta qualsiasi apostolato in favore delle donne aprendo anche per i loro bambini scuole materne, ricreatori, dormitori e pensioni per le giovani costrette a vivere lontane dalla famiglia per motivi di lavoro o altro.

Sensibilissime al problema missionario, fin dal 1968 erano presenti nell’allora Guinea-Bissau, terra che dovettero con dolore abbandonare per la guerra furiosa e selvaggia che vi si scatenò. Attualmente sono presenti in Ecuador e con tre case in Brasile.

A Porcari, dove hanno la Casa Generalizia, le Figlie del

Santo Nome svolgono una importante attività associativa e ricreativa che coinvolge un numero notevole di ragazze e ragazzi che hanno anche la possibilità di partecipare a momenti e incontri di carattere formativo. A questo va aggiunto la collaborazione alle varie attività parrocchiali.

Quando i tempi lo richiesero, si impegnarono anche in attività di doposcuola e ancora prima istituirono attività lavorative retribuite per donne come taglio, cucito, ricamo.

Merita però sottolineare l’impegno che profondono in campo sportivo. Dallo sport, infatti, praticato in ambiente e clima adatto, i giovani traggono benefici a tutti i livelli, come da tempo si sforzano di far capire i vescovi italiani.

Attuale direttrice generale dell’Istituto è suor Giuseppina Nicolussi.

 

Istituto delle Suore Maestre di Santa Dorotea Suore Dorotee

 

Da oltre cento anni, ormai, le Suore Dorotee sono a Porcari. Vi vennero il 16 gennaio 1887 accompagnate dal Vescovo di allora, Mons. Nicola Ghilardi e furono accolte festosamente dalla popolazione.

Presero domicilio nel palazzo Stringari, attuale palazzo comunale, e si dedicarono all’insegnamento catechistico sia in parrocchia che nella scuola e all’educazione delle “giovanette”.

I porcaresi capirono subito l’importanza della loro presenza e così, quando lo Stringari ebbe bisogna del palazzo comunale per uso proprio, la popolazione, perché rimanessero, decise di costruire appositamente una casa dove potessero svolgere la loro opera. Venne così aperta una sottoscrizione; contemporaneamente fu acquistato dallo stesso Stringari un appezzamento di terreno e nell’estate del 1892 furono gettate le fondamenta della casa che è poi l’attuale,

 

ammodernata, ovviamente, a seconda delle esigenze dei tempi.

I lavori procedettero speditamente, sotto la direzione del Sig. Pietro Del Carlo, detto dei Mennoni e con la collaborazione zelante del cappellano don Giovanni Nardini.

In breve tempo la casa fu murata.

La sottoscrizione, però, non fu sufficiente per finire i lavori: quando rimaneva da realizzare ancora metà del lavoro, vi era un disavanzo di quattromila lire. Poiché ci si rendeva conto che non sarebbe stato possibile finire l’opera con la sottoscrizione, fu deciso di regalare alle suore lo stabile così com’era, perché provvedessero poi loro a finire la costruzione. Il Del Carlo coprì il disavanzo regalando le quattromila lire. Le suore accettarono e portarono poi a termine i lavori.

Dall’archivio parrocchiale sappiamo che nel 1906 frequentavano la scuola delle Suore Dorotee circa duecento “giova- nette”.

La loro presenza si stava rivelando per i porcaresi una grande grazia del Signore. Non solo per il loro “apostolato”, ma anche per l’istruzione scolastica che impartivano - si pensi all’analfabetismo allora ancora dilagante tra la popolazione - e per i corsi, soprattutto estivi, di attività pratiche come “taglio e cucito”, ricamo e così via. Per quei tempi non era cosa da poco!

E’ sorprendente, per quell’epoca, constatare i motivi che spinsero i fondatori a concepire l’Istituto delle Suore Maestre di Santa Dorotea.

L’Istituto, fondato a Venezia il 4 agosto 1838 dai sacerdoti don Luca e Marco Passi, sorse con lo scopo di formare cristianamente la donna. Don Marco, in particolare, considerava già in quei tempi la donna parte attiva della società e della Chiesa. Il fratello, don Luca, che vedeva in lei l’animatrice della famiglia, istituì una Società, formata da giovani o comunque da donne, che avesse la cura delle giovinette e delle bambine della parrocchia e le seguisse nella crescita in

 

tutti gli ambienti di vita e di lavoro.

Questa Società la chiamò Pia Opera di Santa Dorotea.

Al fine poi di sostenere tale Società e perché le “giova- nette” fossero seguite con assiduità, fondò l’Istituto delle Suore Maestre di Santa Dorotea che aveva appunto il compito primario di seguire e curare, mediante un rapporto amichevole, le ragazze della parrocchia. Oggi curano e sostengono anche scuole e pensionati giovanili, sempre allo scopo di adempiere l’impegno specifico della fondazione. Hanno inoltre missioni in Bolivia, Brasile, Colombia, Madagascar, Camerun e Congo.

A Porcari gestiscono la loro scuola elementare autorizzata e fino ad alcuni anni fa curavano la scuola materna comunale. La scuola elementare si distingue per il tipo di insegnamento impartito che, oltre ai normali programmi ministeriali, prevede tutta una serie di materie e attività integrative che tendono a dare al ragazzo, oltre ad una istruzione più varia e completa, anche una educazione alla socialità e alla responsabilizzazione personale. Tutto è portato avanti con il coinvolgimento dei genitori che si occupano anche della parte amministrativa.

Inserite nei vari organismi e gruppi parrocchiali danno un notevole contributo alla realizzazione e buona riuscita dei piani pastorali e alla formazione dei ragazzi e dei giovani.

Purtroppo, la loro presenza fra noi ha gli anni contati. Per vari motivi, infatti, e non appena la Cooperativa di genitori “Insieme per la Scuola e dintorni” sarà pronta a gestire “in toto” le cinque classi elementari, se ne andranno.

 

Congregazione dei Sacerdoti delle Scuole di Carità Padri Cavanis

 

Il Proposto, don Marraccini, accarezzava da tempo l’idea di avere a Porcari un istituto religioso che facesse in campo

 

maschile quello che le Suore Dorotee operavano in campo femminile. L’occasione arrivò quando Cherubina Giometti, vedova di

Anseimo Toschi, manifestò, al Proposto, l’idea di donare una parte del palazzo di sua proprietà e delle terre circostanti ad un istituto religioso che provvedesse all’istruzione gratuita della gioventù maschile di Porcari.

Furono contattati i salesiani che pur facendo un sopralluogo non poterono accettare. Allora Mons. Mario Del Carlo, che aveva conosciuto i Padri Cavanis, essendo stato loro ospite nell’Istituto Casa del Soldato, mentre era Cappellano Militare, e aveva apprezzato l’opera che svolgevano, consigliò al Marraccini di contattarli.

I Cavanis arrivarono a Porcari per una visita nel giugno del 1919 e già il 21 luglio comunicarono che il capitolo della Congregazione aveva approvato la fondazione di Porcari.

La Congregazione Cavanis era stata fondata a Venezia nel 1838 dai fratelli P. Antonio e P. Marco conti Cavanis che “di fronte alle carenze e alle difficoltà dell’educazione e ai pericoli che i ragazzi e i giovani incontrano nella loro crescita, ... è stata istituita per esercitare verso la gioventù i doveri di maestri e di padri, in aiuto all’azione educativa della famiglia” (Regola 3).

La sera del 6 ottobre successivo arrivò il Padre Vincenzo Rossi che iniziò subito alcuni lavori di adattamento dei locali e trasformò in Cappellina una stanza del piano terreno.

Sempre nel 1919 cominciarono a funzionare le scuole con un Ginnasio, una Scuola Serale per adulti e una Scuola di Disegno festiva. Dopo cinque anni il ginnasio fu sostituito con Scuole Elementari Superiori Complementari, più adatte alle esigenze del paese.

A questi anni risale anche l’edificazione della Chiesa, alla costruzione della quale parteciparono, con entusiasmo, i porcaresi. Molti contribuirono con offerte, altri prestando gratuitamente la loro opera.

 

Nel 1928 venne a Porcari il Padre Agostino Zamattio con il compito di fondare un Collegio, di dare un indirizzo preciso all’Istituto, un ordinamento in linea con la legislazione scolastica e costruire nuovi locali perché quelli lasciati dalla Giometti si andavano facendo insufficienti.

Nell’ottobre del ’28 furono iniziate le scuole elementari, riattivate le classi ginnasiali e la prima istituto tecnico. L’8 giugno 1930 fu inaugurata la prima ala del Collegio Convitto.

Nell’anno scolastico 1930/31 vi erano tutte le classi elementari , l’Istituto Tecnico inferiore al completo e le prime due classi ginnasiali.

Nel 1934 si pose ancora mano ai lavori di ampliamento. La solenne inaugurazione di tutto l’edificio, nella sua forma attuale, avvenne il 31 marzo del 1935.

Furono promosse, nel frattempo, anche altre iniziative come la Congregazione Mariana nei due rami: Figli e Figlie di Maria; la Conferenza di S. Vincenzo De’ Paoli e l’Azione Cattolica.

Nell’anno scolastico 1948/49 iniziò il funzionamento del Liceo Scientifico che fu trasferito nel 1953, per mancanza di spazio, a Capezzano Pianore, presso la Villa dei Borboni di Parma.

A Porcari rimase la quinta elementare per chi voleva ben prepararsi a sostenere l’esame d’ammissione - obbligatorio allora - alle medie e la Scuola Media, gratuita per esterni e collegiali.

La presenza dei Padri Cavanis invogliò i genitori porcaresi e della Piana a prendere in considerazione di far studiare i propri figli ed aprir loro, quindi, prospettive al di fuori del piccolo artigianato e del lavoro dei campi. Le misere condizioni economiche e la mentalità del tempo, infatti, tendevano ad imporre ai figli il mestiere dei genitori e anche il fatto che le scuole medie inferiori e superiori fossero tutte a Lucca, con le conseguenti spese per frequentarle, non favoriva la continuazione degli studi che rimaneva prerogativa quasi esclusiva dei ricchi.

 

In questi anni, intanto, Congregazione fa anche la scelta missionaria. Attualmente ha case in Brasile, Ecuador e Colombia. Vi è il progetto di aprirne anche in Uruguay, Filippine e Romania.

Con l’istituzione della Scuola Media Unificata, che inizia a funzionare nell’ottobre del 1963, le cose cambiano. Ogni comune ha la sua scuola media e questo provoca una caduta nelle iscrizioni al Convitto e porta alla sua chiusura nel 1977/ 78. Nello stesso anno, su insistenza dei genitori, la scuola media si apre alle ragazze.

Oggi la Media Cavanis, oltre allo sviluppo dei programmi ministeriali, offre una serie di possibilità che prepara l’alunno ad affrontare con una formazione più completa la scuola superiore: seconda lingua straniera, corsi di latino, di informatica ed altro ancora.

Dal punto di vista formativo cristiano, ogni settimana vi sono momenti dedicati alla preghiera e alla riflessione sulla Parola di Dio e viene promossa la partecipazione all’Eucarestia. Periodicamente vengono organizzate giornate di amicizia e di spiritualità.

Dall’anno scolastico 1999/2000, pur continuando la presenza dei Padri, la gestione della scuola passerà alla Cooperativa di genitori “Insieme per la Scuola e dintorni”

Preside sarà comunque Padre Remo Morosin.

 

Cenni di figure religiose di rilievo

che hanno avuto contatti significativi con Porcari

 

S. Gemma Galgani a Porcari

Gli anni della fanciullezza li passò quasi interamente a Porcari, sino alla morte del nonno, e vi ritornò spesso finché visse il suo fratello Gino (1894). (G. Barsotti, Una Santa Lucchese - Gemma Galgani, p. 6).

 

I nostri padri la veneravano non solo perché era S. Gemma, ma anche perché era la loro Gemmina.

Nel 1834 il nonno paterno Carlo, medico, si stabilisce a Porcari dove aveva ottenuto la condotta. La casa, posta in Via Galgani, a Rughi, è attualmente abitata dalla famiglia Ramacciotti. Lo chiamavano il Sig. Carlo o semplicemente il medico (in porcarese del tempo “il medio”, da cui il nome della località: “al medio”).

Gemmina trascorse i suoi primi dieci anni di vita quasi interamente a Porcari presso il nonno.

La condotta del dott. Carlo comprendeva i paesi di Porcari, S. Martino in Colle e Badia Pozzeveri, nei quali infierivano febbri malariche a causa del vicino lago di Bientina “pa- ludigno malarico, stante il rialzamento del terreno privo di sufficiente sfogo”. Il Sig. Carlo doveva superare distanze considerevoli per accorrere ovunque fosse chiamato. Quando poteva usava il carrozzino e portava con sé ogni tanto anche la piccola Gemma.

 

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E’ appunto al ritorno da una visita che si verificò l’episodio raccontatomi da un’amica di Gemma, la simpatica vecchietta Giocondina (per i porcaresi Giacomina), deceduta una trentina di anni fa: “Da bimbette, con Gemmina, si mettevano delle ‘immaginine’ sugli sgabelli della stalla e si pregava. Era buona Gemmina! Io ci ho anche dormito insieme, nella casa dove allora abitavo in via del Municipio (è la casa posta al numero civico 5, attualmente abitata da ‘Angelina del Puccinelli’). Successe così: era ima serataccia, pioveva a dirotto e la strada era inondata d’acqua. Il cavallo del Sig. Carlo davanti all’acqua si impennava e non poterono tornare a casa. Allora dormirono da noi. Gemmina dormì in camera con me”.

La casa in via del Municipio, all’epoca dei fatti, era abitata dalla Sig.ra Carminella Lencioni, della quale Giacomina era figlia adottiva.

Anche Quintilia Benetti giocava “alle noci” con la futura Santa che le raccomandava di non “rubare” e alla quale, tuttavia, rivolgeva parole di conforto per calmarla quando perdeva: “Non ti adirare, vincerai un’altra volta”.

I Galgani erano gente di fede e molto affezionati ai porcaresi che li avevano capiti e contraccambiavano. Infatti, quando la famiglia di Gemma, che allora abitava a Lucca, cadde in miseria, la Sig.ra Letizia Bertuccelli, che prestò servizio in casa Galgani e della quale Gemma aveva tanta stima, giunse al punto di raccogliere a Porcàri delle elemosine per loro, dicendo che si trattava di una famiglia decaduta.

Gemma nacque alle ore 18,30 del 12 marzo 1878 da Enrico e Aurelia Landi, nella frazione di Borgonuovo, parrocchia di S.Michele in Camigliano,comune di Capannori.

Fu battezzata nella medesima parrocchia il giorno seguente e fu chiamata Gemma, Umbérta, Pia.

Ritornò alla Casa del Padre dopo atroci prove e sofferenze alle ore 13,45 dell’11 aprile 1903, nella casa della zia, sulla Piazza della Rosa, davanti all’omonima chiesetta.

 

Gemma fu beatificata il 14 maggio 1933 da Pio XI e proclamata santa da Pio XII il 2 maggio 1941.

 

Pellegrinaggio, statua e quadro.

La devozione a “Gemmina”, quando salì agli onori degli altari, fiorì subito tra i porcaresi molti dei quali l’avevano conosciuta.

Nell’archivio parrocchiale si legge che la terza domenica di settembre del 1933, alle ore 5,30, “al suono festante delle quattro campane grosse, l’immensa folla del popolo porcarese guidata dal Proposto”, uscì di chiesa e a piedi, si recò al Duomo di Lucca a venerare il corpo della Beata Gemma Galgani. “Il concorso fu incalcolabile perché tanti popolani di questa terra avevano conosciuto personalmente la Beata”.

Nel 1937 fu ordinata la statua in legno della Beata che costò la somma di lire 1.260, di cui 1.000 inviate dal compaesano Aman Giannini da S. Paolo (Brasile) dove era emigrato.

La domenica 31 ottobre, dopo il vespro, il popolo in processione si recò alla stazione da dove il simulacro della Beata, già preparato sulla barella nella sala di una casa vicina , tra canti e preghiere, fu portata in trionfo nella Chiesa parrocchiale

Il Proposto, nella chiesa dove lei veniva da bambina, affidava alla “santa verginella” le famiglie della terra porcarese “che diede i natali al di lei padre e ha le tombe dei nonni Carlo e Margherita e di altri parenti”.

Il 16 maggio 1995, festa liturgica di S. Gemma Galgani, veniva inaugurato il quadro, dono di una benefattrice, che ritrae la santa in estasi e che è stato posto nella nostra chiesa parrocchiale, sull’altare a lei dedicato.

Più significativo e più cònsono alla spiritualità dei nostri

 

tempi, 1’ “Estasi di S. Gemma”: questo il titolo del quadro che ha sostituito la statua lignea del 1937 .

Il quadro di Guido Giaretto, artista torinese, ritrae Gemma in estasi davanti a Gesù crocifisso; davanti a lei un leggìo con un libro, da cui scende la passiflora, il fiore della passione, e sulla sinistra il giglio bianco, simbolo di purezza e verginità. In alto il crocifisso, lo sposo prediletto. Sullo sfondo la Torretta e la nostra bianca chiesa ad indicare che la santa appartiene anche a noi porcaresi.

Il quadro è stato inaugurato e presentato alla popolazione durante una celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Ghilarducci, direttore dell’Archivio Arcivescovile.

 

Fonti: Archivio Parrocchiale (Memorie paesane).

Testimonianza diretta fatta a chi scrive, parecchi anni addietro, dalla Giacomina citata nel testo; già resa comunque a G. Barsotti, in La Povera Gemma.

G. Barsotti, Una santa lucchese - Gemma Galgani.

 

Alessandro II

Il papa Alessandro II soggiornò nel feudale castello di Porcari con la sua corte, in riva al lago di Sesto, ora Padule di Bientina (G. Barsotti, Lucca Sacra, 1923).

Si tratta di Anseimo dà Baggio, vescovo di Lucca (Anseimo I), milanese di origine, che, eletto papa, prese il nome di Alessandro II e conservò, in Lucca, il vescovato di S. Frediano.

Fu papa dal 1061 al 1073.

“Fu eletto Papa su iniziativa di Ildebrando di Soana (il futuro Gregorio VII). Alla sua elezione si oppose l’imperatrice reggente Agnese, la quale convocato un concilio a Basilea

 

gli oppose Cadalo, Onorio II, che riuscì a cacciare Alessandro II da S. Pietro.

Nel concilio di Augusta del 1062, sostenuto da Pier Damiani, fu confermato Papa, mentre il sinodo di Mantova, 1064, condannava Onorio II.

Alessandro II, fra l’altro, rinnovò i decreti contro il clero simoniaco e concubinario; appoggiò in Italia le correnti popolari avverse al governo dei vescovi-conti e dovunque fosse possibile, promosse la collaborazione tra laici ed ecclesiastici” !Cron. dei Papi, a cura di D. Gasparri, Ed-Vallardi).

 

Fonti: Citate nel testo

 

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Anseimo da Baggio, Vescovo di Lucca, divenuto papa Alessandro II.

 

San Leonardo Da Porto Maurizio

 

Fra i Di Poggio, che mantennero il diritto di nomina del parroco fino a che restarono a Porcari, vi furono sicuramente persone profondamente religiose se riuscirono a conquistare l’amicizia e la stima di S. Leonardo da Porto Maurizio.

Tale fu sicuramente la signora Mariangela Di Poggio, sua figlia spirituale che lo ospitò anche nella sua villa.

Il santo fu a Porcari in occasione delle Missioni predicate nella nostra parrocchia nel 1722; per quelle del 1723 in occasione delle quali fu eretta, in chiesa, la Via Crucis; nel 1744 e 1751 per visitare la famiglia Di Poggio.

Non potendo la chiesa contenere la gran quantità di popolo che accorreva ad ascoltare Padre Leonardo, si ricorse all’ampio cortile della villa dei Di Poggio.

Ciò è ricordato, per le Sacre Missioni del 1723, con una iscrizione epigrafata su una pietra che fa da base ad una croce, anch’essa di pietra, posta in fondo al cortile della villa ex Di Poggio.

La traduzione italiana della scritta è posta a destra di chi guarda la croce:

 

MESE DI GIUGNO MDCCXXm PERCHÉ

IL PADRE LEONARDO DA PORTO MAURIZIO MENTRE FACEVA LE SACRE MISSIONI

CON GRANDE VANTAGGIO DELLE ANIME POTESSE APPAGARE

L’AFFOLLATA MOLTITUDINE QUI PER L’ANGUSTIA DEL TEMPIO

EBBE TEMPORANEA DIMORA CRISTO IN SACRAMENTO

 

Mentre a sinistra vi è la seguente scritta:

 

A PERPETUARNE LA RICORDANZA I FRATELLI DEL CARLO

QUESTA ALL’ANTICA MEMORIA SOSTITUIRONO NEL GIUGNO DEL MDCCCLXXXVI

 

S. Leonardo da Porto Maurizio fu il primo che predicò le Sacre Missioni a Porcari (U. Ceccarelli).

 

Per approfondire la presenza di S. Leonardo da P. M. a Porcari e in Lucchesia:

Libro sul santo di Padre Leonardo da Torcigliano, Lucca 1867.

U. Ceccarelli: “Un grande predicatore a Porcari S. Leonardo da Porto Maurizio”, in Porcari nell'età moderna, Comune di Porcari, Matteoni Stampatore, Porcari, Lucca.

 

Beato Bartolomeo Maria Dal Monte

 

Della Chiesa bolognese, nato nel 1726 e morto nel 1778, evangelizzatore ed apostolo delle missioni al popolo.

E’ stato beatificato da Giovanni Paolo II il 27 settembre 1997 a Bologna, nell’ambito del XXIII Congresso Eucaristico nazionale.

Tenne le SS. Missioni a Porcari nell’anno 1771.

Il ricordo di quella predicazione è conservato in un libretto ottocentesco, pubblicato dal postulatore per la beatificazione.

Nacque da una famiglia benestante e nonostante l’opposizione patema e la malferma salute, si fece sacerdote diocesano.

Giovanissimo, conobbe S. Leonardo Da Porto Maurizio e, attratto dalla sua personalità e dal tipo della sua attività pastorale, fece del metodo delle missioni lo scopo del suo ministero.

 

Fonti: Archivio Parrocchiale.

 

Beata Elena Guerra

 

Nella primavera del 1854, come già nel 1837, scoppiò nella Lucchesia il terribile flagello del colera.

Le prime vittime del terribile morbo furono i poveri, sia perché denutriti, sia perché non potevano o non sapevano usare precauzioni di carattere igienico.

Come ricorda don P. Scavizzi nel suo libro Ignis Ardens, il paese più colpito dal terribile morbo fu Porcari. Probabilmente le acque del lago che formavano dei “paludigni malarici”, favorivano il diffondersi del contagio.

Le famiglie più agiate dagli agglomerati della città si rifugiavano nelle solitarie ville di campagna. Così fece anche la famiglia di Elena Guerra che possedeva una “casina villereccia”, con un modesto oratorio in Camigliano, nell’attuale via della Chiesa al n. 1, vicinissimo al confine porcarese.

Tuttavia Elena, non ancora ventenne, riuscì a convincere la madre a lasciarla andare nelle famiglie dei dintorni a portare aiuto in medicine, cibi e denaro. E’ in questo periodo che comincia a farsi sentire nella Guerra la vocazione allo stato religioso. E’ sicuro che operò a Porcari e di ciò dà testimonianza anche Mons. Barsotti quando attesta che da piccolo sentiva parlare degli edificanti episodi, dello zelo e della carità della giovanetta Elena Guerra che tutti chiamavano semplicemente “la signorina Santa”, specialmente per ciò che fece in favore dei poveri, durante la triste epidemia.

Peraltro, la vicinanza della villa di campagna faceva sì che abitualmente i Guerra avessero rapporti con i porcaresi, nei periodi in cui venivano nella residenza di campagna e avessero quindi delle conoscenze se non addirittura delle amicizie in quel di Porcari.

Sicuramente, la futura Beata sentì parlare o conobbe Eufrosina Ramacciotti, di qualche anno più grande di lei (pur abitando a Rughi, che era parrocchia di Porcari, la sua abitazione distava qualche centinaio di metri dalla residenza dei

 

Guerra ), se Mons. Barsotti afferma di credere che Elena si sia ispirata alla Eufrosina nello scrivere il libretto La Pia Contadinella.

 

Fonti: Don Pirro Soavizzi, Ignis Ardens, (già citato).

Mons.G.Barsotti, Una Santa Lucchese, (già citato).

Per approfondire: Archivio Oblate dello Spirito Santo (Zitine) Lucca, Pzza S. Agostino.

Vocazioni sacerdotali che si sono avute nella parrocchia di Porcari, a memoria d’uomo

 

Sappiamo tutti che la nostra comunità parrocchiale ha espresso, fin da tempi lontani, numerosissime vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa in genere. Era chiamata il “vivaio delle vocazioni”.

Ma perché ?

Qui sarebbe interessante poter fare un’analisi storica della fede e del tipo di spiritualità che ha caratterizzato il popolo porcarese, poiché è chiaro che la vocazione allo stato sacerdotale o alla vita consacrata in genere, nasce, o trova comunque un terreno favorevole, oltre che in famiglia, in una comunità che professa e vive una fede adulta e intensa.

Quando abbiamo parlato di Eufrosina Ramacciotti si è accennato al tipo di spiritualità che caratterizzava quel tempo: la

S. Messa, la S. Comunione, la meditazione e l’adorazione Eucaristica. Da qui un’attenzione particolare ai malati e ai poveri. Vi erano anche devozioni particolari ma venivano dopo l’essenziale, almeno a Porcari.

Può tutto ciò aver influito su questo fiorire di vocazioni ?

Nello scorrere la storia dei sacerdoti che si sono succeduti alla guida della parrocchia, non si può far a meno di notare, almeno per un buon numero, il notevole zelo che li ha animati, la loro statura morale e la grande spiritualità.

Anche questo può aver avuto la sua influenza.

Ci sembra comunque opportuno, in questa circostanza, ricordare questi nostri compaesani, ancora viventi, che, in molti casi, sono partiti giovanissimi per il Seminario e dei

 

quali pian piano si è persa o si perde la memoria.

Ci sembra doveroso farlo anche perché lungo il corso degli anni la loro affezione e il loro interesse per la parrocchia dove nacquero e maturarono la vocazione, è rimasto molto vivo.

 

Brunini prof. Marcello, ordinato nel 1975. Direttore Spirituale del Seminario - Parroco nella Brancoleria - Insegnante nell’Istituto Teologico e di Scienze Religiose Interdiocesani.

 

D’Antraccoli prof. Mons. Pierluigi, ordinato nel 1969. Priore di S. Anna - Cappellano di Sua Santità - Insegnante di Teologia Spirituale nell’Ist. Interdiocesano di Scienze Religiose.

 

Da Valle Giovan Carlo Marcello (Giancarlo), ordinato nel 1963. Pievano di Collodi - Vicario della zona pastorale di Segromigno-Villa Basilica-Valleriana.

 

Del Carlo dr. Arcangelo, ordinato nel 1948. Parroco di

S. Angelo in Campo - Direttore dell’Ufficio diocesano per la Scuola - Assistente ecclesiastico del Serra Club.

 

Della Maggiora Giovanni, ordinato nel 1947. Ospite della Casa del Clero dopo essere stato parroco di Badia Pozze- veri.

 

Lazzareschi Can. Mons.Gianfranco, ordinato nel 1961. Parroco di Pieve S. Paolo - Canonico del Capitolo della Chiesa Cattedrale di S. Martino - Segretario Arcivescovile.

 

Matteoni Bruno, ordinato nel 1939. Ospite della Casa del Clero dopo essere stato parroco di Cosdli.

 

Orlandi Mons. Fosco, ordinato nel 1949. Priore di Torre del Lago - Cappellano di Sua Sandtà.

 

Puccinelli Ilio, ordinato nel 1946. A riposo dopo esser stato Pievano di Pieve a Elici.

Rossi Rodolfo, ordinato nel 1992. Pievano di Pieve di Monti di Villa, Priore di Bagni di Lucca Ponte e Parroco di Monti di Villa, Direttore della Biblioteca del Seminario Arci- vescovile.

Padre Vittorio Di Cesare, dell’Istituto Cavanis e poi insegnante dagli Scolopi.

Puccinelli Pierluigi, Diacono, Ordinato nel 1983. Al servizio delle Parrocchie di Aramo, Fibbialla di Medicina e Medicina, impegnato nella pastorale degli ammalati.

Ci sembra giusto ricordare anche quelli deceduti recentemente o comunque in un arco di tempo tale che il loro ricordo è ancora presente almeno in parenti ed amici d’infanzia. Si tralasciano ovviamente quelli la cui figura è stata trattata:

Borelli Can. Alberto Sacerdote diocesano

Del Carlo Can. Mario Sacerdote diocesano

Della Maggiora Livio Sacerdote diocesano Della Maggiora Giovanni Sacerdote diocesano

Della Nina Raffaello Sacerdote missionario del Pime

Della Nina Pietro Sacerdote diocesano

Fanucchi Arcangelo Sacerdote diocesano

Giampaoli Francesco Sacerdote diocesano

Matteoni Dante Sacerdote diocesano

Tocchini Giuseppe Sacerdote diocesano

Matteoni Ugo Sacerdote diocesano

Vi furono moltissime vocazioni religiose femminili ma sarebbe impossibile elencarle senza tralasciarne qualcuna.

 

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Incontro di sacerdoti porcaresi in occasione della Festa del Rosario 1962. Da sinistra: Vincenzo Del Carlo, Francesco Giampaoli, Giuseppe Tocchini, Fosco Orlandi, Ilio Puccinelli, Arcangelo Del Carlo, l’Arcivescovo Enrico Bartoletti, Arcangelo Fanucchi, il Cancelliere Arcivecovile Fazzi, Gianfranco Lazzareschi, il Proposto Giovanni Galli, Egidio Picchi.

 

Proposti che hanno retto la Parrocchia dall’istituzione della Propositura

 

Antonio Marraccini A Porcari come Cappellano dal 23 luglio

1888 - Il 17 Dicembre 1894 è nominato

Economo Spirituale - Il 28 gennaio 1907 è nominato Rettore effettivo. Dal 2 aprile 1914 è Proposto fino al 25 agosto 1929. E’ nominato Canonico della Cattedrale e si trasferisce a Lucca. Alla morte della sorella torna a Porcari, accolto da don Martino, dove muore il 6/12/1932.

 

Emilio Guidi E’ nominato il 22 settembre 1929 e vi

rimane fino al 30 settembre 1932.

 

Guglielmo Nanni E’ nominato il 20 agosto 1932 e regge la

parrocchia fino al 13 maggio 1961, data della morte.

 

Giovanni Galli E’ nominato il 5 giugno 1961e regge la

parrocchia fino al 31 ottobre 1974. Successivamente viene nominato Canonico della Cattedrale.

 

Francesco Ambrogi

 

E’nominato 1’1/11/1974 e rimane fino al 30 novembre 1988. Successivamente è nominato Canonico della Cattedrale.

 

Agostino Banducci Attuale Proposto. E’ stato nominato 1’

1 dicembre 1988.

 

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Mons. Giovanni Galli.

 

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Mons. Francesco Ambrogi con l’Arcivescovo Giuliano Agresti.

 

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Don Agostino Banducci.

 

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Indice

Il ricordo per continuare a camminare insieme . . 3 Al lettore 5

Due anime in un nocciolo 9

Mons. Antonio Marraccini 13

Don Martino Di Cesare 23

Mons. Emilio Guidi 29

Don Guglielmo Nanni 33

Don Egidio Picchi 41

Don Michele Nardini 51

Mons. Pietro Tocchini 57

Mons. Giovanni Barsotti e le sorelle . 65

Mons. Vincenzo Del Carlo 73

Mons. Domenico Fanucchi 79

Eufrosina Ramacciotti . . . . . .

83

Mons. Eugenio Nannini 91

Carlo Galgani 101

Can. Andrea Del Prete . . . . . .

109

Paganello da Porcari . 113

Istituti religiosi presenti nella parrocchia . 1 1 7 Suore del Santo Nome 117

Suore Dorotee 119

Padri Cavanis 121

Cenni di figure religiose di rilievo. . . . 125

S. Gemma Galgani 123

Papa Alessandro II................................................. *28

S. Leonardo Da Porto Maurizio . . . • 130 Beato Bartolomeo Maria Dal ponte . 131

Beata Elena Guerra................................................ ^2

Sacerdoti porcaresi..................................................... ^

I proposti di Porcari ...................................................

 

 

Finito di stampare

nel mese di novembre 1999 da matteoni stampatore Lucca

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